
BEETHOVEN Fantasia in do minore op. 80 per pianoforte, coro e orchestra BRUCKNER Sinfonia n. 3 in re minore “Wagner-Symphonie” (1889) pianoforte Jean-Frédéric Neuburger solisti V. Varriale, E. Cipolla, A. Vacanti, P. La Placa Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Tugan Sokhiev
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 13 dicembre 2025
La Fantasia op. 80 di Beethoven ha tutto per farsi amare. Scritta in uno dei periodi più fertili della vita del compositore di Bonn, presentata nel celebre concerto-monstre del 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien, insieme alla Quinta e alla Sesta Sinfonia, all’aria “Ah! Perfido”, al Concerto n. 4 per piano e orchestra, ad alcuni numeri dalla Messa in do maggiore, ne fu il brano conclusivo e ovviamente applauditissimo, per meriti propri e beninteso per tutto ciò che prima s’era ascoltato. Abbiamo sempre pensato che in essa contino, più che le avvisaglie tematiche del finale della Nona Sinfonia, la potenza dell’esordio solistico del pianoforte, le piacevoli conversazioni fra questo e gli strumenti solisti dell’orchestra, la corrente appena oscura e misteriosa che, pur in venti minuti di musica, passa sottotraccia e della Fantasia respinge ogni ipotesi meramente ludica. E che si svela come inarrestabile progressione d’energia, che trova la sua liberazione solo nella marziale chiamata a raccolta di tutte le forze in campo, per dire la grandezza e la bellezza dello Spirito della Vita. L’esecuzione che se n’è data al Parco della Musica è stata esemplare: il neppur quarantenne Jean-Frédéric Neuburger è un pianista che già da questo suo debutto in Accademia desideriamo riascoltare. La nobile smaltatura del suono sortisce con eccezionale naturalezza e forza dalle sue mani, coniugandosi con risorse tecniche e stilistiche di prim’ordine. Grazie anche ad un Sokhiev brillantissimo e incalzante sul podio, l’esito è stato qual di rado si riscontra in tal pagina.
La Terza Sinfonia in re minore di Anton Bruckner è cimento arduo anche per chi con il compositore di Ansfelden abbia lunga dimestichezza. La versione qui eseguita è stata quella finale del 1889, già percorsa da interrogativi irrisolti, da oasi d’assorta contemplazione, da parossismi irrefrenabili, da schianti fatali. Tugan Sokhiev, presenza ricorrente ed assai amata a Santa Cecilia, ne ha dato una lettura, fin dall’attacco del Gemässigt, mehr bewegt, misterioso iniziale, segnata — pur nella sfolgorante patinatura del suono — da forti contrasti, da asprezze foniche che additano il carattere sovente apocalittico del primo movimento di tal Terza Sinfonia. L’Adagio si è mosso più spedito di quanto non raccomandi l’autore (“quasi andante”), tanto da porre sin troppo in evidenza la dialettica fra preghiera e dubbio, fra tentazione ed estasi. Forse ne abbiamo ascoltato versioni più convincenti. Molto bello invece abbiamo trovato lo Scherzo, dai ritmi bruschi e pesanti, ma con il Trio che ben mostra la continuità della linea che viaggia da Haydn a Dvořák. L’Allegro finale (quello che più conserva talune memorie wagneriane) pur nella grandiosità dell’impianto, ha visto accentuarsi da parte di Sokhiev tutte le “domande senza risposta” che Bruckner accumula in una sorta di simbolico combattimento fra cielo e terra: fino all’accordo conclusivo, lasciato risuonare dal direttore con palese senso di dolorosa irresoluzione. E accolto dal plauso di tutta la sala, che ha ben compreso sia la qualità musicale della sinergia fra Sokhiev e i complessi ceciliani, sia la peculiarità d’una versione della Terza che – se da una tradizione austro-tedesca prende più d’una distanza – si è imposta per profondità intellettuale e intensità drammatica.
Maurizio Modugno
Foto: Musacchio & Pasqualini / MUSA