Dentro il meccanismo a orologeria di “Cenerentola”…

ROSSINI La Cenerentola L. Verrecchia, D. Monaco, G. Caoduro, C. Lepore, M. D’Apolito, C. Vichi, F. Sardella; Orchestra e Coro del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste, direttore Enrico Calesso regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi scene e costumi ispirati all’allestimento di Emanuele Luzzati contributi video Giuseppe Ragazzini

Trieste, Teatro “G. Verdi”, 26 aprile 2024

Che La Cenerentola sia una delle più formidabili boîte à malices dell’opera è ormai risaputo e in questo senso viene sollecitata ogni ripresa del capolavoro rossiniano. Lo è in particolare il perpetuum mobile del congegno musicale, che il direttore Enrico Calesso cura nella continuità inventiva, con precisione ritmica da orologeria e la corrispondenza felicissima di orchestra e palcoscenico. Nella vivezza della concertazione, in linea con la mobilità accentuata in scena dagli ingranaggi degli effetti video, si avverte quasi la vaga intenzione di fare di questa Cenerentola una sorta occulta di elettrizzante “Hugo Cabret”, il film di Martin Scorsese, dove tutto nasce nel ventre di una grande orologio. Fluidità, equilibrio e fantasia (ed anche quella tenerezza che è propria della protagonista “umiliata e offesa”) nascono qui in orchestra e compensano una certa spinta della regia verso il grottesco. Nondimeno lo spettacolo scorre sufficientemente gradevole nell’impianto floreale, inquadrato da una storica cornice di Lele Luzzati al quale guarda con affetto la messinscena di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi con il supporto per i costumi di Nicoletta Ceccolini. Il gusto illustrativo chagalliano di Luzzati non va però oltre la citazione. La regia si affastella su un’altra strada.  Tutto è molto fitto, molto “pieno”, molto scattante ma anche esuberante. A volte funziona solo in parte, come l’idea di fare della Corte del Principe una comunità di automi prodotti in serie da un qualche Coppelius: trovata per altro secondata appuntino dall’eccellente coro del Verdi. Funziona invece benissimo l’aver restituito ad Alidoro il ruolo deuteragonista di onnipresente artefice del sortilegio (qui il convincente basse-baritone Matteo D’Apolito).

Molto omogenea la compagnia di canto, con il ritorno dello splendido Romeo che nei Capuleti belliniani dell’anno scorso tanto aveva impressionato. La reazione si rinnova adesso con Laura Verrecchia, musicalissima Angelina dal canto morbido, di ammirevole sbalzo espressivo, che a volte lascia echi di commozione come nella sospensione di “e sarà mia vendetta… il lor perdono”, prima del congedo di fluente radiosità. Dave Monaco (tenore di fine natura vocale ma di impetuosa eleganza) ha al suo arco le frecce di agilità e di sopracuti che vanno tutti a bersaglio. Originale il Dandini che Giorgio Caoduro sottrae alla gagliardia baritonale di tradizione e trasforma in un personaggio volpino con la nervatura della scioltezza belcantistica che gli è peculiare. Giganteggia sul versante buffo il basso Carlo Lepore, cui va un successo personale clamoroso: un Don Magnifico esemplare nella vocalità e nella caratterizzazione che lascia tutti gli sfoghi e tutti gli eccessi a Carlotta Vichi e Federica Sardella, instancabili, infantiloidi e scatenati rampolli femminini. Alla fine le accoglienze sono festose e calorose per tutti.

Gianni Gori

Foto: Fabio Parenzan

Data di pubblicazione: 28 Aprile 2024

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