Un Haydn “lirico” con Honeck a Santa Cecilia

BEETHOVEN Concerto n. 3 per pianoforte ed orchestra in do minore op. 37 MOZART Exsultate, jubilate K 165 HAYDN Missa in do maggiore “in tempore belli” Hob: XXII:9; R. Mühlemann.M. Pizzolato, K. Tarver, T. Nazmi; pianoforte Paul Lewis Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Manfred Honeck direttore del Coro Ciro Visco.

Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 15 dicembre 2018

Quest’anno il programma della stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia non prevede il consueto Concerto di Natale ma, oltre ad alcuni appuntamenti fuori abbonamento in collaborazione con la Federazione Russa ed il Giappone, le Feste vengono celebrate con due concerti di Manfred Honeck che hanno come tema unificante la musica austro-ungarica ed in particolare quella viennese. Il primo è dedicato alla prima scuola di Vienna (il Concerto n. 3 per pianoforte ed orchestra ebbe la sua prima esecuzione il 3 aprile 1803 al Theater an der Wien). Ne segue, quasi alla vigilia di Natale, un secondo di musiche di Dvořák. Strauss e Webern. Honeck è uno dei maggiori direttori d’orchestra viventi: ha gesti e movimenti (nonché,soprattutto, raffinatezza) che, ai meno giovani, ricordano Karl Böhm. Nato nel piccolo comune di Nenzing, cresciuto professionalmente tra i Wiener Philharmoniker e la Wiener Staatsoper, sin da quando alza la bacchetta per dare il primo attacco si avverte che ha Vienna nel cuore.

Il notissimo Terzo concerto di Beethoven (presente nelle stagioni sinfoniche dell’Accademia quasi ogni tre anni dal lontano 1908) è incorniciato tra due brani di musica sacra meno noti — la Missa di Haydn è addirittura in prima esecuzione a Roma nelle stagioni di Santa Cecilia, una carenza che l’attuale gestione dell’Accademia ha fatto bene a correggere, in quanto si tratta di un capolavoro assoluto.

Il breve mottetto mozartiano per soprano (Regula Mühlemann), conuna formazione orchestrale quasi cameristica, è formalmente musica da Chiesa: composto dal salisburghese per un’esecuzione a Milano nel 1773, ha tutta l’ambiguità dell’adolescenza. Le due arie collegate da un recitativo trasudano dolce sensualità. Honeck la sa sottolineare raffinatamente, e con arguzia, quasi dando l’impressione che il brano sia per un’opera semi-seria (quale, ad esempio, La Finta Giardiniera) piuttosto che per una funzione liturgica,

Siamo in una Vienna differente da quella del mottetto mozartiano con il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra, già dal primo movimento (Allegro con brio) Honeck sottolinea il tema fortemente assertivo in do minore, affiancato da un altro meno incisivodel precedente e più cantabile. Dopo la proposta dei temi principali da parte dell’intera orchestra, entra il pianoforte e consente a Lewis di sfoggiare il suo virtuosismo. Grande successo e richieste di bis a cui Lewis ha risposto con una divertente Bagatella beethoveniana.

Nella seconda parte del concerto, si è ascoltata la Missa in tempore belli di F.J. Haydn in prima esecuzione — come si è detto — a Roma nei programmi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. La Missa è stata composta da Haydn nel 1796 mentre le armate di Napoleone stavano per invadere la Stiria. Il fragore di timpani all’“Agnus Dei”, ultimo numero della Missa (conosciuta, proprio a ragione dei timpani, pure con il nome di “Paukenmesse”), aveva, nel lontano 1796, un significato preciso: rinserrare la coalizione anti-Napoleonica e rinvigorirla, con un forte appello ed una sentita preghiera all’Altissimo, in un momento in cui quello che, nel contesto dell’epoca, era il simbolo del Male (e dell’ateismo) aggrediva la verde ed inerme Stiria

La prima volta che l’ho ascoltata dal vivo è stato il 23 gennaio 1973 nell’immensa cattedrale anglicana di Washington: la eseguiva la National Symphony guidata da Leonard Bernstein, accompagnata da un doppio coro. Infuriava la guerra in Vietnam. L’ho ascoltata poi, per la Sagra Umbra al Teatro Morlacchi di Perugia l’11 settembre 2004, terzo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle di New York; era eseguita dalla Cappella Istrometropolitana di Bratislava, diretta da Johannes Prinz, con il Wiener Kammerchor. Come nel gennaio 1973, anche allora il fragore dei timpani all’“Agnus Dei” accompagnava una fase particolarmente difficile per la politica internazionale ed era denso di indicazioni in materia dirafforzamento e rinsaldamento della coalizione contro il terrorismo. Due esecuzioni, quindi, in un contesto emotivamente delicato; e la stessa tensione l’ho colta di nuovo lo scorso settembre, sempre alla Sagra Umbra, nella Basilica di San Pietro (il Teatro Morlacchi era in restauro) con il St. Jacob’s Chamber Choir e l’Orchestra da Camera di Perugia affidati alla direzione di Gary Graden. Esecuzioni molto differenti anche a ragione dell’organico: enorme quello alla National Cathedraldi Washington (con un Bernstein dal piglio combattivo), quasi cameristico nelle due esecuzioni a Perugia; nella seconda, in particolare, Gary Graden accentuava i toni mistici. Delle versioni discografiche ricordo quella della Staatskapelle di Dresda diretta da Neville Marriner, con grande organico e molto drammatica, e quella del Vienna Chamber Choir and Orchestra guidati da Hans Gillesberger (cameristica e quasi liturgica). Ciò per dire che ci sono vari modi, ugualmente plausibili, per interpretare questa Missa, seconda delle sei grandi messe composte da Haydn.

L’aspetto interessante della lettura di Honeck è l’utilizzo del grande organico dell’Orchestra di Santa Cecilia, un doppio coro (guidato da Ciro Visco) e quatto solisti di fama internazionale (oltre alla Mühlemann, Marianna Pizzolato, Kenneth Tarver, Tariq Nazmi) per un’interpretazione più lirica e liturgica che battagliera; insomma si invoca Dio, più che le armate, per frenare l’invasione francese. È una lettura che ha affascinato il pubblico che, in gran misura, ascoltava la Missa per la prima volta. E che lo ha ricambiato con applausi ed anche qualche ovazione.

Giuseppe Pennisi

Data di pubblicazione: 17 Dicembre 2018

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