Il fascino del divino Claudio per “Liederiadi”

FRESCOBALDI, MONTEVERDI, SWEELINCK tenore Mirko Guadagnini; tenore Paolo Borgonovo; basso, Filippo Tuccimei; canto Graziella Tiboni; quinto, Ilaria Molinari; alto, Toshiyuki Muramatsu; alto, Claudia Cigala; violini, Diego Castelli e Gemma Longoni; arpa, Elena Spotti; violone, Nicola Moneta; organo e cembalo, Umberto Protti; Intende Voci chorus. Maestro concertatore Mirko Guadagnini

Milano, Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, 9 maggio 2017

 

Continuano i festeggiamenti per il 450° anniversario della nascita di Claudio Monteverdi e anche il Festival Liederìadi – che da oltre dieci anni realizza la prima e unica stagione concertistica, dedicata alla musica vocale da camera – non poteva certo esimersi dal celebrare il divino Claudio. Del resto, lo stesso Mirko Guadagnini rimane l’unico tenore italiano di questa generazione ad aver cantato, interpretato ed inciso i tre ruoli principali (Orfeo, Ulisse, Nerone) del trittico monteverdiano con grandi direttori come William Christie, Claudio Cavina e Rinaldo Alessandrini, oltre ad aver vinto nel 2008 Grammy Awards, Choc du Monde e Premio Amadeus con L’Orfeo di Monteverdi (La Venexiana, Claudio Cavina) come migliore disco di opera barocca.

Un programma impaginato con grande raffinatezza che ha spaziato da Frescobaldi a Monteverdi, fino a Sweelinck, concentrandosi nella seconda parte sui capolavori monteverdiani.

La serata – nella bellissima cornice di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano (con i dipinti del Bergognone, del Luini e del Peterzano) che possiede acustica decisamente straordinaria per profondità e rotondità sonora, unita a grande chiarezza – si è aperta sulle note della Toccata V “Sopra i pedali dell’organo e senza” di Frescobaldi, che Umberto Protti ha restituito nella sua bellezza densa di dissonanze, ritardi e libertà agogiche (“non dee questo modo di suonare stare soggetto a battuta), che lo stesso organista ferrarese riteneva fossero fondamentali per apprezzarne la bellezza. Poi, siamo entrati nel mondo monteverdiano con delle “chicche” di gran pregio: il Regina Coeli per due tenori, basso con arpa, violone e cembalo, il Salve Regina per due tenori e basso continuo e il Nigra sum, un mottetto a voce sola, accompagnato peraltro dall’arpa. Qui abbiamo iniziato ad appezzare il lavoro di cesello dei solisti, che Guadagnini guidava con eccellente padronanza d’intenti espressivi. Sì, proprio l’espressività è una delle doti migliori di questo cantante, dotato di ottimo timbro e dalla perfetta dizione, che ha fraseggiato con il tenore Paolo Borgonovo e il basso Filippo Tuccimei, entrambi maiuscoli per musicalità e bellezza vocale. Tra tutti i brani monteverdiani, colpisce specialmente il Nigra sum per il fraseggio molto teatrale del Guadagnini. Dai toni festosi del More palatino di Sweelinck, che ha evidenziato tutte le bellezze dei registri dell’Antegnati (organo così ben tenuto e revisionato), al Duo seraphim tribus vocis di Monteverdi in cui tutte e tre le parti vocali risultano impegnate pariteticamente in un’impervia scrittura piena di fioriture. Toccata per l’elevazione di Frescobaldi dalla lineare compostezza contemplativa e finale della prima parte decisamente sbalorditivo per la scelta di collocare nel Gloria di Monteverdi le voci femminili fuori scena, i cui timbri angelici sembrava provenissero da altra dimensione paradisiaca.

Seconda parte densissima di capolavori monteverdiani a partire dal Pianto della Madonna a voce sola con basso continuo, cantato dal Guadagnini con eccellenti messe di voce che esaltano la straordinaria melodia, che il compositore ferrarese mutuò dal Lamento di Arianna. Azzeccatissima, inoltre, la scelta di cantare senza soluzione di continuità il mottetto a 5 voci a cappella dello stesso brano, dove il lavoro di cesello delle voci, fa sortire dinamiche sempre cangianti e messe sonore di eccellente fattura: mai una forzatura peraltro, tutto fluiva con grande naturalezza musicale. Finale con Audi coelum per due tenori, coro e basso continuo nel quale – oltre alla piacevolezza delle voci corali, sempre meticolosamente preparate – abbiamo apprezzato i sorprendenti effetti d’eco del tenore Paolo Borgonovo, che si collocava fuori scena. Programma concluso con lo stupendo madrigale petrarchesco “Hor ch’el ciel e la terra” a sei voci e basso continuo, dove il coro ha potuto porre in bella mostra le sue doti nei suggestivi passaggi imitativi del verso “guerra è il mio stato” (è il Monteverdi del cosiddetto “stile concitato”), così come nelle intimistiche parti iniziali a mezza voce. Applausi e ben due bis. Il primo introdotto da Guadagnini che – così fortunato nella sua carriera da poter festeggiare, a distanza di un decennio, ben due commemorazioni del divino Claudio – ci ha deliziato con la celeberrima aria “Possente spirto”, brano che si colloca proprio nel centro dell’Orfeo, nella quale abbiamo apprezzato la leggerezza dei suoi vocalizzi unita ad un ottima concertazione, in cui i due violinisti hanno dialogato con grande libertà agogica e dinamica. Infine, l’esecuzione dell’ultima parte del madrigale su testo del Petrarca ha concluso la bellissima serata. Applausi scroscianti in una cantoria piena in ogni ordine di posti.

Carlo Bellora

Data di pubblicazione: 11 Maggio 2017

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