A Napoli trionfa anche la “seconda” Gioconda

Foto: Luciano Romano

PONCHIELLI La Gioconda Lianna Haroutounian, Anna Maria Chiuri, Alexander Köpeczi, Ksenija Nikolaieva, Angelo Villari, Ernesto Petti, Lorenzo Mazzucchelli, Roberto Covatta, Giuseppe Todisco; Orchestra e Cori del Teatro San Carlo di Napoli, direttore Pinchas Steinberg regia Romain Gilbert scene Etienne Pluss costumi Christian Lacroix

Napoli, Teatro di San Carlo, 17 aprile 2024

È spesso interessante andar a frugare nei secondi cast di produzioni operistiche che, alle prime recite, esibiscono nomi noti e altisonanti, dai quali puoi forse immaginare cosa aspettarti, nel bene e nel male. È per tal curiosità – qualcuno ci ha detto per snobismo, ma non è vero… – che siamo andati all’ultima recita della Gioconda che a Napoli s’è data (in prima il 10 aprile) con l’illustrissimo quartetto Netrebko, Kaufmann, Tézier, Hubeaux e che per tre repliche chiamava a raccolta Lianna Haroutunian, Anna Maria Chiuri, Angelo Villari, Ernesto Petti, fermo restando il resto della distribuzione, ossia la Cieca di Ksenija Nikolaieva e il Badoero di Alexander Köpeczi.  L’interesse e la curiosità sono stati premiati. La produzione aveva comunque due saldissimi pilastri: la direzione d’orchestra del veterano Pinchas Steinberg e la regia del giovane Romain Gilbert. Steinberg è un direttore di razza, non solo perché figlio del grande William Steinberg: basta guardarne il gesto, basta vedere come tutto sia nei disegni larghi e sapienti della sua lunga bacchetta, che par ghermire e condurre senza sforzo alcuno golfo mistico e palcoscenico. In aggiunta il suono è sempre ricco, cupo o brillante a seconda dei casi e sostiene a meraviglia i cantanti. E le mille invenzioni musicali di Ponchielli le rende con eccezionale pulsazione teatrale, spesso con quella fantasia che solo in apparenza e in senso nobile è “improvvisazione”. Romain Gilbert viene da una molteplice formazione: musicale, musicologica, ingegneristica, manageriale; ma poi ha scelto d’esser regista, prima accanto a Laurent Pelly, Ivan Alexandre e Klaus Guth; poi da solo e con un successo che l’ha portato praticamente in tutto il mondo. Una regia di Gioconda come la sua (dopo l’imbarazzante esperienza della Sonnambula a Roma), ci è parsa risanante. Il retroterra della pittura veneziana – con quei muri corrosi, con quelle esplosioni di colori, con pulcinella, pantaloni e arlecchini di memoria tiepolesca, con quell’immenso telero che fa da sfondo ai soliloqui e al duetto di Alvise – non vi è naturalmente celabile. È tuttavia solo il fondale d’una dinamica scenica vivace, credibile, chiara nel dipanare l’attorta vicenda degli amori e degli odi che ruotano attorno alla bionda cantatrice. Geniale è apparsa poi la realizzazione delle danze, la Furlana affidata a a tre formidabili acrobati e Le ore, rese con eleganza, ironia e brio straordinari. Se si aggiungono i costumi sontuosi di Christian Lacroix, dovremo invero dire che da tempo non vedevamo una regia come questa: che fosse, cioè, teatro musicale e non un comizio ideologico.

Lianna Haroutunian ha cantato Gioconda con qualche audacia: la sua è una voce d’indubbia bellezza, con un settore acuto rotondo, luminoso, che s’effonde con calda naturalezza e un settore grave senz’altro ben impostato. Tuttavia l’improbo ruolo scritto per Maddalena Mariani Masi (che forse vi perse l’ugola) si gioca in gran prevalenza sui centri, che la Haroutounian ha piuttosto leggeri, se non fragili. Sì che molto di lei è stato ragguardevole (da un buon “Enzo adorato!” a un notevole “Suicidio!”, passando per molti momenti di viva, femminile passionalità); altro spesso è stato faticoso e alla fine affaticato. Angelo Villari è presenza non da oggi nota sui palcoscenici: la sua è una natura vocale salda, potente, d’un color argenteo e d’uno squillo tenorile ancora importante. Certi sprazzi alla Mario Del Monaco non ci sembrano indispensabili e meglio son parse alcune mezzevoci e una raffigurazione complessiva del personaggio forse un po’ a senso unico, ma virile e talor austera. Anna Maria Chiuri ha mostrato un’organizzazione canora non priva di rughe: abile nel risolvere i passi che ormai le sono avversi, giusta nel rendere il carattere del personaggio, ma spesso (e soprattutto nel furibondo duetto con Gioconda) soverchiata dalla Haroutunian. Conoscenza nuova e per noi assai gradita è stata invece quella del baritono Ernesto Petti: che a Barnaba ha dato qualità timbriche e metodo di canto assolutamente pregevoli. Il colore infatti è riccamente brunito e s’individua subito tanto come peculiare, quanto come di schietta tradizione italiana. La tecnica appare ben rifinita, con acuti di grande bellezza ed espansione; l’interprete forse avrebbe bisogno di scegliere tra il modello Bastianini (ideale per lui e ben udibile a tratti) e quello più veristicheggiante d’altri, cui dava riscontro con qualche accento troppo caricato. È tuttavia nome da seguire e da valorizzare al meglio. Così come il giovane, ma spettacoloso basso rumeno-ungherese Alexander Köpeczi: strumento e statura possenti, interprete attento a dar a Badoero tutti i giusti riflessi malefici, ma anche una linea di canto sempre sorvegliata, sempre morbida, sempre espressiva. Ed infine ancora di spicco è apparsa la Cieca dell’ucraina Ksenija Nikolaieva, vero contralto certo, ma ben risonante in tutta la gamma fino all’acuto, tanto (ad onta d’alcune diseguaglianze tra i registri) da conferire al suo personaggio un rilievo vocale e scenico non sempre usuale. Tanto più che alla fine dell’opera, nel sinistro scenario d’una Giudecca in rovina, il suo fantasma appare a Barnaba, macabro e minaccioso, mentre il sipario si chiude.

Applausi fragorosi e prolungati da parte d’un pubblico sia napoletano, sia soprattutto nord-europeo.

Maurizio Modugno

(La recensione delle recite col primo cast è pubblicata su MUSICA di maggio)   

Data di pubblicazione: 19 Aprile 2024

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