Dal gregoriano a Liszt: le sorprese di BA classica

Saskia Giorgini

Dallo scorso 23 febbraio al prossimo 2 marzo, ritorna l’appuntamento con BA Classica, il festival musicale di Busto Arsizio che, ormai alla settima edizione, ha ottenuto un radicamento cittadino che è l’indicatore più importante per una manifestazione culturale. Dopo l’apertura affidata al duo Gibboni-Dalia, infatti, chi avrebbe pensato di trovare, in un piovoso sabato pomeriggio nella Chiesa vecchia del quartiere di Sacconago, un pubblico foltissimo, tale da esaurire i posti a sedere (e alcune persone sono rimaste in piedi) per cinque giovanissimi, valentissimi ma ancora poco noti musicisti, in un programma interamente dedicato a Monteverdi? Eppure questo è successo. Si trattava del “Monteverdi Baroque Ensemble”, gruppo creato per l’occasione con la partecipazione del baritono Marco Pangallo, del mezzosoprano Elsa Biscari, della violinista Ella Biscari, del tiorbista Carlo D’Ariano e della gambista Alessia Travaglini: in programma alcuni greatest hits del Divino Claudio, dal “Disprezzata Regina” della Poppea alle due grandi scene di Orfeo, da un estratto del Combattimento al “Lamento della ninfa”, per concludere, nel bis, con “Pur ti miro” (che non è di Monteverdi, come ormai si sa, ma è di una bellezza quasi dolorosa). Ebbene, questi cinque giovani musicisti hanno dato prova di grande bravura tecnica, di consapevolezza stilistica e soprattutto di sapere costruire una situazione teatrale in ognuno dei brani affrontati, avvicendo il pubblico che li ha seguiti con attenzione assoluta: molto bella la voce di Marco Pangallo, dal colore schiettamente baritonale e che, con pochi aggiustamenti, potrà davvero dire parole significative in questo repertorio, ma davvero eccezionale la prestazione di Elsa Biscari, che appare già ora un’artista pronta per sfide ben più importanti. Perché non hanno lasciato indifferenti il suo timbro dal colore morbidamente screziato, l’emissione a fior di labbro e la misura, l’incisività con cui ha innervato il suo fraseggio.

Alla sera, poi, un ritorno per il festival bustocco: quello della Cappella Musicale del Duomo di Milano, diretta da Monsignor Palombella, che si era esibita in formazione ridotta (senza le voci bianche) l’anno scorso nel Santuario di Santa Maria in Piazza, riscuotendo un grande successo, tanto che quest’anno si è pensato di spostarla nella ben più ampia Basilica di San Giovanni. Una scelta che però ha penalizzato l’esecuzione, poiché il suono delle voci tendeva, nel posizionamento scelto, ad andare più verso l’alto che avanti: particolarmente evidente è stato questo fatto quando il coro veniva diviso, nelle parti in responsorio, con alcuni coristi che si sono posizionati all’entrata della chiesa, da cui il suono si propagava con ben maggior efficacia. Ciononostante, sempre di grande effetto è stato il repertorio proposto, una sapiente alternanza di canti gregoriani ed elaborazioni polifoniche (Palestrina e De Victoria, su tutti) che accompagnano il tempo liturgico tra Avvento e Quaresima.

Altro ritorno graditissimo è stato quello della coppia Baglini-Chiesa, al piccolo Teatro Fratello Sole, con un programma di enorme ambizione, tra i Sonetti del Petrarca, la trascrizione lisztiana del Guglielmo Tell e la Polacca “eroica” di Chopin (con il solo Baglini, naturalmente) e la Sonata in sol minore di Chopin, cui si è aggiunta, come bis, l’op. 3 dello stesso polacco, ossia l’Introduzione e polacca brillante, lavoro giovanile e di grande effetto. E soprattutto nei Sonetti Baglini ha regalato al pubblico un sapiente gusto per il dosaggio delle sonorità e, nonostante l’acustica piuttosto secca, effetti timbrici di innegabile suggestione.

Sempre nella stessa sede, la sera dopo è stata la volta di Saskia Giorgini, pianista italiana ma residente a Vienna che ha pubblicato due notevoli album lisztiani per Pentatone (ed altri due liederistici con Ian Bostridge): il programma proposto a Busto ricalcava in buona parte il più recente, ed era piacevolmente “vecchio stile”, con la Predica di San Francesco agli uccelli, la Bénédiction de Dieu dans la solitude, le sei Consolazioni e due valzer pochissimo noti, uno dei quali costruito sul celebre “Verranno a te sull’aure” della Lucia. Sono soprattutto le Consolazioni a suscitare curiosità: il mini-ciclo è praticamente assente dai programmi concertistici (magari si propone la terza come bis), ma è notissimo a tutti gli studenti e dilettanti di pianoforte, e il rischio di farne sei pezzettini zuccherosi, da Nonna Speranza, è assai alto. Ebbene, Saskia Giorgini si è rivelata una pianista di totale maturità stilistica e personale, con un senso del colore e del suono assolutamente lucido e persuasivo: un fraseggio asciutto, un pianoforte che “cantava” sempre con sobrietà e chiarezza di intenti, un’intensità espressiva che veniva esaltata da un uso assai parco del pedale e una digitalità leggera eppure incisiva, pronta ai salti come al gioco perlato, con un pudore e una sobrietà che erano gli stessi che l’artista palesava anche quando parlava al pubblico per introdurre i brani. Ci vuole coraggio, a proporre un programma del genere, per di più in una città di provincia: ma ci vuole ancora più bravura a farlo con assoluta coerenza stilistica e musicale, costruendo un’arcata di un’ora di musica (la Giorgini, con le indicazioni corporee, ha rinunciato agli applausi tra uno e l’altro brano) coronata poi, in perfetto stile, dal “brano più famoso di Liszt”, il Sogno d’amore, arricchito in coda da un’esecuzione semplicemente incantevole degli Chemins de l’amour di Poulenc. Speriamo di riascoltare presto in Italia questa splendida artista.

Ma intanto, il festival bustocco prosegue fino a sabato 2: chi può, chi abita non troppo lontano, non se lo perda!

Nicola Cattò

Data di pubblicazione: 28 Febbraio 2024

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