Una stanca Traviata chiude la stagione del San Carlo

Pretty Yende e Francesco Demuro

VERDI La Traviata P. Yende, F. Demuro, G.  Gagnidze, D. Mazzuccato, V. Girardello, M. Miglietta, A. Spina, E. Marabelli, P. Di Bianco; Orchestra e coro del Teatro di San Carlo, direttore Francesco Ivan Ciampa regia Ferzan Özpetek, scene Dante Frigerio, costumi Alessandro Lai

Napoli, Teatro di San Carlo, 22 luglio 2022

Il Teatro di San Carlo chiude la stagione 2021-22 con la ripresa della Traviata, cosa che, dal punto di vista del botteghino, non è mai una cattiva idea: periodicamente, ogni teatro lirico al mondo cerca di capitalizzare la popolarità di quest’opera. Stavolta, il San Carlo riprende una sua produzione, realizzata dal regista Ferzan Özpetek del 2012, vista già altre volte in questi ultimi anni.

Özpetek ci racconta la storia in maniera riconoscibilmente aderente al libretto, ma immergendola in un’atmosfera decadente fin de siècle; per far questo, sposta l’azione più avanti, dal 1850 circa alla Belle Époque, raccontandoci vizi e virtù (molti di più i primi, in verità) di un demi-monde parigino che si compiace delle proprie abdicazioni morali, e in cui regna quella Violetta che è diventata nel nostro immaginario la cocotte per antonomasia; a lei però la vita dissoluta non ha fiaccato del tutto la spiritualità interiore, la capacità di amare senza riserve.

Il regista non ha neanche mancato di rammentare le sue origini turche, aggiungendo temi e suggestioni orientali, dai fez, ai divani damascati, ai narghilè, con l’aiuto delle sontuose scenografie di Dante Ferretti e dei costumi di Alessandro Lai.

Man mano che il dramma va avanti, però, il lusso delle ambientazioni iniziali lascia il campo alla desolazione: dalla sfarzosa scena del ballo in apertura (in cui curiosamente si mescola ai convitati il maestro del coro José Luis Basso) alla nuda scena finale, che presenta al centro il letto di Violetta avvolto dall’oscurità, rischiarato solo dalla luce bianca e fredda di un faro.

Il soprano sudafricano Pretty Yende non è apparsa pienamente a suo agio nel delineare vocalmente il carattere della cortigiana (del resto la sua vocalità, diceva Verdi, richiederebbe due o forse tre soprani diversi in una stessa rappresentazione). La voce della Yende mancava della necessaria profondità e calore che si aspettano da un soprano drammatico per questo ruolo. Con le sue sonorità piuttosto fredde, le colorature belle ma a volte senza un aggancio drammaturgico, parrebbe più indicata per un repertorio barocco.

La Yende è sembrata comunque abbastanza a suo agio nel ritrarre la mondana libera e di facili costumi in “Sempre libera”, dove tuttavia è arrivata si direbbe en passant, quasi come un atto dovuto, al fatidico sovracuto tanto atteso dai melomani. In “Amami Alfredo” ha espresso con qualche timidezza il crescendo emotivo e tecnicamente impegnativo dell’aria. Nell’ultimo atto, la disperata vulnerabilità di Violetta ha potuto maggiormente catturare il cuore del pubblico. La sua interpretazione di “Addio, del passato” è stata sufficientemente commovente da strappare convinti applausi, per la poetica fragilità che si avvertiva nel suo canto. 

Il tenore Francesco Demuro ha rappresentato la giovanile sconsideratezza di Alfredo con buona interpretazione, anche se lo scavo nel personaggio è parso abbastanza di routine. La sua tecnica non è mai stata meno che giusta, ma come innamorato di Violetta ha impressionato più in qualche delicato fraseggio che non nei brani di veemenza, dove non era aiutato da un volume eccelso. Nel complesso, alla sua prova, sebbene da apprezzare, è mancata un po’ della maturità vocale e del peso richiesti per questo ruolo.

L’incontro del Giorgio Germont di George Gagnidze con Violetta segna la svolta tragica della storia, ma non fa la differenza dal punto di vista vocale; il baritono non ha offerto quella solidità e profondità di cui avrebbe beneficiato anche la Yende: il loro duetto procedeva quasi a scatti, i diversi momenti non si inserivano l’uno nell’altro con naturalezza ed empatia reciproca. Gagnidze visibilmente forzava, dando un tono quasi aggressivo, alla sua linea di canto; poi però ha trovato la sua “zona di conforto” nel momento lirico “Di Provenza il mar, il suol”, la bellissima l’aria dall’andamento quasi da ninnananna in cui cerca di riportare emotivamente il figlio alla sua infanzia felice. Qui Gagnidze riesce a ottenere buone sonorità nel delineare il padre amorevole che vuole apparire.

Per quanto riguarda i ruoli minori, Daniela Mazzuccato è stata un’efficace Annina, Valeria Girardello, è stata una convincente Flora Bervoix, mentre Enrico Marabelli come Barone Douphol, Marco Miglietta come Gastone e Alessandro Spina nei panni del Dottor Grenvil hanno dato un apprezzabile contributo alla performance.

I coristi del San Carlo hanno mostrato una buona coesione vocale e si sono visibilmente divertiti in scena; un elogio a parte meritano i bravissimi ballerini (i toreri, ma ancor più le zingarelle) che hanno letteralmente illuminato la scena della festa.

Il direttore Francesco Ivan Ciampa ha un po’ sorpreso per le dinamiche a volte troppo “sonore” e i tempi spinti. Ma nel complesso ha mostrato un buon orecchio per i dettagli verdiani e ha mantenuto una forte concentrazione, anche se solo di tanto in tanto ci ha fatto vivere tutta la profondità emotiva che quest’opera racchiude.

Lorenzo Fiorito

Foto: Luciano Romano

Data di pubblicazione: 26 Luglio 2022

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