Un Ciaikovski intimo per Lozakovich e Chailly

CIAIKOVSKI Concerto per violino in RE op. 35; Sinfonia n. 6 in si op. 74 “Patetica” Filarmonica della Scala, direttore Riccardo Chailly violino Daniel Lozakovich

Milano, Teatro alla Scala, 18 gennaio 2023

Il Concerto per violino e la Sinfonia “Patetica” di Ciaikovski ben si prestano a letture di stampo decadente, tra generosi slanci vitali e disperata sensualità, in un tripudio di tensione virtuosistica e visionarietà timbrica. Sono musica ma in qualche modo sono anche teatro, la rappresentazione sonora di una condizione esistenziale che nel caso della “Patetica” diventa un vero e proprio testamento spirituale, una sorta di Requiem, come lo stesso compositore ebbe a scrivere in alcune lettere.

Alla Scala, in occasione del debutto nel teatro milanese del giovane violinista svedese Daniel Lozakovich, nel cartellone di Concerti sinfonici scaligeri e con Riccardo Chailly sul podio della Filarmonica, abbiamo ascoltato un Ciaikovski del tutto diverso e per alcuni aspetti sorprendente. Un po’, a dire il vero, potevano aspettarcelo, essendo Chailly direttore molto più incline all’incisività del ritmo e alla chiarezza nella resa della partitura che alla sensualità del suono e del fraseggio, ed essendo Lozakovich violinista elegantissimo e misurato, un autentico signore dell’archetto capace di preziose alchimie sonore e molto lontano dal vigore drammatico e dal turgore timbrico del suo mentore, il direttore russo Valery Gergiev, che ho lanciato qualche anno fa sia nell’agone concertistico sia nel panorama discografico.

A dispetto dei suoi ventitré anni non ancora compiuti, Lozakovich ha affrontato in assoluta scioltezza una partitura incandescente e insidiosa, esibendo un fraseggio di pregio, elegante e naturale, e un suono molto curato sia nell’intonazione sia nelle dinamiche, proprio come si può ascoltare nell’interpretazione del Concerto per violino di Beethoven registrato dal vivo un paio d’anni fa con i Münchner Philharmoniker e Gergiev sul podio. Chailly lo assecondava con mestiere, trovando un ottimo bilanciamento dinamico tra la massa dell’orchestra e il suono del solista, né sontuoso nel timbro né particolarmente grosso nelle dinamiche, come hanno rivelato alcuni dettagli che di solito passano quasi inosservati in interpretazioni più focose (penso al disegno dei fagotti nel secondo movimento), anche se l’esposizione orchestrale dell’Allegro moderato d’apertura è risultata un poco anodina nel colore timbrico e nel calore espressivo.

Se altri giovani violinisti – su tutti l’ultimo vincitore del Concorso Paganini, Giuseppe Gibboni – si immergono nel Concerto di Ciaikovski con l’entusiasmo e la spavalderia dei virtuosi sicuri di fare colpo, l’immagine del Concerto restituita Lozakovich all’uditorio è molto diversa, a un primo impatto meno appariscente e meno coinvolgente ma a conti fatti non meno interessante sul piano interpretativo. È stato un Concerto per violino immerso nello stesso candore della musica per balletto del compositore russo, perché anche i momenti più accesi sul piano del virtuosismo, come la cadenza del primo movimento, eseguita con impeccabile aplomb, avevano un’estrema dolcezza ed eleganza e così l’Allegro vivacissimo conclusivo, che con Lozakovich sembrava tutto tranne che una trionfale cavalcata virtuosistica. In linea con lo spirito di questa interpretazione è stato il bis, un Recitativo e Scherzo di Fritz Kreisler, da ascoltare in religioso silenzio e con le orecchie tese a cogliere le magie timbriche e la pulizia dell’intonazione del giovane svedese.

Nella “Patetica” Chailly non ha cercato la sensualità trovando però la malinconia, soprattutto in virtù di un attento dosaggio degli equilibri dinamici e di un amalgama sonoro di gran pregio, sia nel movimento iniziale sia nel lungo movimento conclusivo che è una vera e propria discesa nel nulla culminante nei sussulti sonori, in questo caso resi a meraviglia, di violoncelli e contrabbassi. È stata una “Patetica” non particolarmente esaltante per le accensioni timbriche ma emozionante nei chiaroscuri, nella flessuosità del fraseggio (elegantissimo il valzer “zoppo”, in 5/4 del secondo movimento), nella morbidezza del canto (un canto morbido ma non estenuato, come rivelava il celebre secondo tema del primo movimento) e soprattutto nell’incisività del ritmo, in particolare negli interventi degli ottoni, sempre nel primo movimento.

Luca Segalla

Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala

Data di pubblicazione: 19 Gennaio 2023

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