Torna l’opera ad Udine: ed è un trionfo

La Contessa (Annett Fritsch) e Cherubino (Serena Malfi)

MOZART Le Nozze di Figaro M. Werba, A. Prohaska, A. Bondarenko, A. Fritsch, S. Malfi, M. Muraro, A. Nadin. F. Lepre, M. Fink, G. Della Peruta; Coro del Friuli Venezia Giulia e Orchestra di Padova e del Veneto, direttore Marco Feruglio regia, scene, costumi Ivan Stefanutti luci Claudio Schmid

Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine, 13 febbraio 2022

E all’improvviso a Udine aria di Festspiele. A premiare il progetto del direttore artistico del Teatro Nuovo, che da oltre due anni tesseva questa tela di Penelope fatta, disfatta e rifatta per le vicende della pandemia: la produzione “in proprio” per la prima volta di un’opera, anzi la madre di tutte le opere com’è la commedia umana di Mozart. Ha ballato per una sera soltanto (peccato) questo primo, gioioso Figaro udinese in un teatro che più gremito non si poteva, accolto da un vero e proprio tripudio. Con l’Orchestra di Padova e del Veneto e con il Coro del Friuli Venezia Giulia guidato da Cristiano Dell’Oste, ha incasellato una compagnia da manuale mozartiano, fra specialisti d’area tedesca ed artisti italiani, anche con eccellenti contributi regionali. Il tutto inserito opportunamente nel solco della tradizione in un allestimento di eleganza figurativa disegnato da Ivan Stefanutti: il gioco delle grandi porte/armadio/guardaroba funzionale all’incessante flusso degli inganni e delle ambiguità, sul quale scende nell’ultimo atto un lunare labirinto di verzura, chiuso dal quasi ammiccante grottesco di una siepe-mascherone, il giardino dove tutto si consuma e tutto si ricompone. Stefanutti vi fa scorrere il meccanismo dell’azione, non senza soluzioni in cui dispiega il gusto, lo humour di illustratore e la raffinatezza di costumista. Sul versante musicale Feruglio, oltre all’impegno di tessitore, si assume il compito di direttore. Nonostante la sua appassionata frequentazione del Settecento e del barocco con il Collegium Apollineum, qui la sua lettura evita iperboli, attenta agli equilibri interni di concertazione di un’opera dalle mille insidie, ben secondato dagli organici, da Silvano Zabeo al fortepiano e soprattutto da una compagnia d’eccezione, nella quale gioca un ruolo coinvolgente il “mestiere” alto di artisti come Markus Werba, Anna Prohaska, Annett Fritsch.

Una scena del terzo atto

Il primo è un’autentica reincarnazione di Figaro con tutto il suo carisma vocale e l’impetuosa simpatia; la Prohaska è una Susanna perfetta tanto nella verve soubrettistica che quasi guizza dal personaggio quanto nel fraseggio incantevole dell’Andantino “Deh, vieni, non tardar”; Annett Fritsch con la soavità del legato e la limpidezza stilistica riconferma come Contessa la sensibilità che ne fa una delle interpreti mozartiane di maggior classe. Il basso ucraino Andrei Bondarenko nella parte del Conte era acquisizione dell’ultima ora: inizio un poco in penombra, specie nei recitativi, ma subito riscattato dalle qualità dello smalto vocale, che accoglie tutta l’irrequietezza imperiosa del personaggio. Ascoltando il delizioso Cherubino di Serena Malfi si capisce perché un paio di anni fa Raphaël Pichon l’abbia voluta nel premiatissimo progetto discografico mozartiano (“Libertà!”) del suo Pygmalion. Il Bartolo di Maurizio Muraro sembra uscito da una illustre galleria di “caratteri” goldoniani, accanto alla fresca e frizzante vocalità di Alessia Nadin (Marcellina). E dal momento che un cast ben assortito dev’essere tale anche nei ruoli “minori”, qui, oltre al viperino Basilio di Federico Lepre, si ammira come un protagonista l’Antonio sanguigno del glorioso baritono sloveno/argentino Marcos Fink. Per non dire del cammeo splendido e sensuale di Giulia Della Peruta, memorabile Barbarina. Dettaglio ulteriore all’attivo dello spettacolo: tutto l’ingranaggio scenico è mosso appuntino dagli allievi del progetto PCTO dell’Istituto Malignani di Udine. Un Mozart, insomma, che è pure promotore di nuove professionalità. Infine la “spia” inconfondibile del successo: la vera e propria apnea di silenzio e commozione calata in sala (in una serata viva di consensi quasi frenetici) sull’invocazione del Conte (“Contessa, perdono”): sospensione magica del tempo e dei cuori prima del finale e dell’ovazione liberatoria e festosa.

Gianni Gori 

Data di pubblicazione: 16 Febbraio 2022

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