
SCHUBERT Introduzione e variazioni sul tema del lied “Trockne Blumen” op. 160, D802 SZYMANOWSKI Mity op. 30 BRAHMS Sonata n. 1 in FA minor, op. 120 n. 1 BARTÓK Sonata per violino e pianoforte n. 2 BB 85, SZ 76 pianoforte Dmytro Choni violino Frank Peter Zimmermann
Cremona, Teatro Ponchielli, 14 febbraio 2025
Per il secondo appuntamento con la Stagione Concertistica 2025 del Teatro “Ponchielli” di Cremona – Musica Crescendo La Nuova Stagione – una serata cameristica ad alta caratura musicale ed elevata temperatura emotiva. Se per ascoltare un duo violino e pianoforte si riempie quasi tutto un teatro (solo il loggione era vuoto) ci sarà valido un motivo? Certo che sì, e più di uno, aggiungerei. Il violinista tedesco Frank Peter Zimmermann, da poco sessantenne, è un autentico signore al servizio della musica che irradia a 360 gradi: tecnica di ferro, bel suono, timbro mimetico, profondo rispetto nei confronti del compositore, musicalità da vendere. Ma questo lo si sapeva già, certo è che quando si propone un programma in cui due capisaldi del Novecento storico – Mity, op. 30 di Karol Szymanowski e la Seconda Sonata, Sz 76 di Béla Bartók – vengono rispettivamente introdotti, a guisa “preliminare”, da due pagine tanto corpose quanto radicate nella forma – Introduzione e variazioni, op. 160 di Franz Schubert e Sonata, op. 120, n. 1 di Johannes Brahms – allora capiamo di trovarci di fronte a un espediente drammaturgico davvero potente. Ogni superlativo si spreca laddove il climax raggiunto dai tre movimenti di Miti (La fonte di Aretusa; Narciso; Driadi e Pan), composti nel 1915 da Szymanowski, è ancora in grado, oggi come allora, di irretire l’uditorio per mezzo di un linguaggio completamente “nuovo”, di un simbolismo lussureggiante, ipnotico ed erotico, ma non dimostrativo, reso tangibile da effetti flautati, tremoli, trilli, effetti sul ponticello, note con l’arco e insieme pizzicate, glissandi e quarti di tono. Mi sto soffermando su questo pezzo perché è in esso che lo stato di grazia dei due musicisti ha toccato l’apice. Chiaramente Zimmermann è un padreterno – in più, per l’occasione ha pure imbracciato lo Stradivari (1711) detto “Lady Inchiquin” – ma se non avesse avuto come partner un pianista di mostruosa bravura, come l’ucraino Dmytro Choni, non si sarebbero potute generare le alchimie timbriche richieste da Szymanowski o i “barbarismi” imposti da Béla Bartók nella sua Seconda Sonata, brano scabro, a tratti primitivo, che ha suggellato una serata assolutamente non convenzionale. Nella parte “tradizionale” del programma Schubert e Brahms sono apparsi come fossero compositori “Biedermeier”, rassicuranti nella struttura classica delle loro magnifiche composizioni, poiché manifestamente accostati a tipi di scrittura “minata” ed “esplosiva”. Quando tra il plaudente pubblico si scorgono molti giovani – di oggi, ma anche di un tempo – allora non si può fare altro che ringraziare chi continua, nonostante tutto, a vivere la Musica come un’Arte impegnata, capace cioè di trasmettere un messaggio che travalica ogni mediocre contingenza.
Michele Bosio