Il fascino discreto di Michel Dalberto

LISZT Ricordanza (Etude d’exécution trascendante n. 9) FRANCK Prélude, Aria et Final en mi DEBUSSY Images. Premier Livre SCHUMANN Fantasiestücke Op. 12 WAGNER/LISZT Marche Solemnelle du Graal pianoforte Michel Dalberto

Asolo, Chiesa di San Gottardo, 13 settembre 2022

Per il quarantaquattresimo Festival Internazionale di musica da camera “Incontri asolani”, svoltosi nell’incantevole borgo di Asolo in provincia di Treviso, non sono mancati gli appuntamenti di rilievo. Sei in tutto le serate che hanno alternato giovani interpreti ad affermati strumentisti e complessi strumentali: dall’omaggio a Piero Paolo Pasolini alla musica barocca con Il Pomo d’Oro, uno dei migliori ensemble nell’ambito della prassi esecutiva storica, ai magnifici Liebesliedwalzer op. 52 e op. 65 di Johannes Brahms per chiudere con lo strabiliante virtuosismo del giovane violinista Giuseppe Gibboni, vincitore del Premio Paganini 2021. Due i concerti in omaggio al centenario della morte di Marcel Proust e al bicentenario della nascita di César Franck: il primo con la pianista Gloria Campaner e il violoncellista Johannes Moser dal titolo “À la recherche…” e il secondo, cui abbiamo assistito, con lo straordinario pianista francese Michel Dalberto, intitolato “…du temps perdu”.

Dalberto è uno dei maggiori pianisti di oggi, dalla lunghissima carriera. Formatosi al Conservatorio di Parigi nella classe di Vlado Perlemuter, discepolo di Alfred Cortot, e di Jean Hubeau per la musica da camera, ha iniziato una brillante carriera alla fine degli anni Settanta dopo aver vinto due dei più prestigiosi concorsi internazionali, il Clara Haskil nel 1975 e il Leeds nel 1978. Da allora ha suonato in tutto il mondo e inciso moltissimo, senza però acquistare quella fama internazionale che la bravura e la sua affidabilità avrebbero dovuto assicurargli. Camerista sopraffino, richiesto da solisti e cantanti di fama, di ieri e di oggi (i violinisti Belkin, Bashmet, i fratelli Capuçon, i violoncellisti Truls Mørk e Lynn Harrell, i cantanti Barbara Hendricks, Jessye Norman, Nathalie Stutzmann e Stephan Genz), dal 2011 insegna al Conservatorio di Parigi e continua a d esibirsi e a frequentare le sale di registrazione.

Silhouette giovanile ed elegante, a Michel Dalberto, 67 anni da poco compiuti (è nato a Parigi nel 1955), è sempre stato rimproverato un certo distacco e freddezza, che in realtà sono sempre stati solo apparenti.  Come si legge anche in rete, “Mi proteggo molto – sono le sue parole – Probabilmente questo mi ha nociuto, ammette. Non vado facilmente dalle persone e quando qualcuno viene da me troppo in fretta, mi spaventa un po’. Ma se chiedi ai miei amici, ai miei studenti…”: Dalberto è la quintessenza della serietà e dell’eleganza, esempio di un artista che nella musica che esegue si cala completamente per coglierne ogni più riposta piega e significato. In verità è un pianista ardente e sensibile, dalla grandissima finezza che si coglie nel fraseggio studiatissimo, nelle variegatissime nuances di colore che scaturiscono da un’abilissima tecnica, da un elegante senso del rubato.

Doti che hanno avuto modo di brillare nell’originale programma proposto per l’incontro asolano, introdotto dallo stesso pianista che ne ha voluto svelare il significato al pubblico, a smentire in questo modo quel distacco e quella freddezza di cui è stato accusato. Filo conduttore il tema dello scorrere del tempo (che cos’è altro la musica se non scrittura del tempo?) e del ricordo di proustiana memoria. In apertura lo Studio di esecuzione trascendentale n. 9 “Ricordanza” di Liszt per immergerci subito in medias res, pagina delicata, che tocca la vena elegiaca, byroniana del compositore, vicina alla scrittura chopiniana per il gusto dell’arabesco e del color strumentale, che, per usare le parole di Busoni citate dallo stesso Dalberto, “ricalca il fascino di sbiadite lettere d’amore”. A seguire una pagina molto amata dal pianista parigino, il Prélude, Aria et Final di Franck, ultima e più ampia opera pianistica del musicista belga, intrisa di tecnica lisztiana e di un afflato mistico che, se da un lato affascina, dall’altro ne costituisce forse il limite nel suo incedere privo di climax, adottando quel procedimento ciclico che pone quasi allo stesso livello tutti i diversi argomenti melodici. Dalberto è riuscito a dare un senso di sviluppo a questa apparente stagnazione temporale nella quale il pezzo indugia, accentuando i tratti organistici della scrittura anche grazie all’utilizzo abbondante del pedale di risonanza.

In Debussy il pianista francese “sguazza” come un pesce nell’acqua: la tavolozza si fa davvero impressionistica e Dalberto sembra respirare all’unisono con i tre movimenti che compongono il primo libro delle Images. La tecnica è quella del grande virtuoso, scatto ritmico e tocco precisissimo: ne esce un Debussy dal fascino incantatorio, anche per lo sguardo arcaicizzante con cui guarda al passato di Rameau e alla tecnica clavicemblasitica. In Debussy il tempo è franto, non indirizzato logicamente verso una fine, ma è un tempo fatto di attimi, di frammenti giustapposti, di un mondo sostanzialmente ignoto.

La seconda parte del concerto vedeva un ritorno al Romanticismo dei Fantasiestücke op. 12 di Robert Schumann, nei quali il musicista tedesco afferma il ruolo della musica come linguaggio privilegiato dell’ineffabile, dell’indicibile a parole. Dalberto coglie forse solo parzialmente i tratti singolarissimi della poetica schumanniana: incalzante in “In der Nacht”, stranamente non pulitissimo nel difficilissimo “Traumes Wirren”, un po’ sbrigativo in un pezzo enigmatico come “Warum?”, giustamente febbrile nel ritratto appassionato di Florestan in “Aufschwang”, della sua aspirazione romantica verso qualcosa d’indeterminato e d’irraggiungibile.

Chiusura con la Marcia solenne del Santo Graal, trascrizione pianistica condotta da Liszt di un frammento del Parsifal di Wagner. Rispettosamente sobria e priva di ornamenti, l’arrangiamento riprende due temi dell’opera wagneriana – la marcia solenne e il Santo Graal – riprodotti sulla tastiera sfruttandone le risonanze specialmente nella regione grave, con accordi pieni e larghi dal colore bronzeo, quasi fossero pesanti campane che gradualmente si fanno diafane nel rievocare il tema del Santo Graal.

I ripetuti applausi hanno costretto il pianista a due bis: due Lieder di Franz Schubert trascritti da Rachmaninov e da Liszt, che hanno confermato la bravura di uno dei maggiori pianisti di oggi.

Stefano Pagliantini

Data di pubblicazione: 14 Settembre 2022

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