“Un piacer serbato ai saggi”: Brahms, Giltburg e Petrenko

MENDELSSOHN Calma di mare e felice viaggio BRAHMS Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra DEBUSSY La mer pianoforte Boris Giltburg Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Kirill Petrenko

Roma, Parco della Musica, 15 ottobre 2021

Non abbiamo mai scritto bene di Kirill Petrenko. Quando venne al Parco della musica per un Rheingold stile fantasy, eccedente nel suono e mediocre nel gusto. Quando tornò per una Nona di Beethoven trasformata in una rabbiosa corsa verso il Nulla. Non ne scriveremo bene neppur dopo quest’ultimo concerto, che annoverava l’ouverture Calma di mare e felice viaggio di Mendelssohn, il Secondo di Brahms con Boris Giltburg e La mer di Debussy.

Bisogna stare molto attenti quando si parla, si scrive e soprattutto si esegue il Secondo concerto in si bemolle maggiore op. 83 di Johannes Brahms. È uno dei capolavori assoluti della letteratura per pianoforte e orchestra, è una partitura complessa, densa di rovelli psicologici e di voli poetici, quasi la messa in musica di un romanzo di Robert Musil; e difficilissima per il pianista e per il direttore. I punti cardinali di riferimento non mancano, da Myra Hess e Bruno Walter a Fischer e Furtwängler, da Giulini e Arrau a Pollini e Thielemann.  Spiace dire che Boris Giltburg poco o nulla ha mostrato di comprenderne: spinto dai tempi tachicardici, dal fraseggio corto e schematico di Petrenko, con un pianoforte dal suono non ideale, si è gettato sulla scrittura brahmsiana come su Ravel o Prokofiev, emarginandone la continua dialettica tra slancio e delusione, fra anelito e ripiegamento; e la sonorità calda e morbida e i disegni melodici mai aguzzi e taglienti, ma sempre torniti da una vellutata rondeur. Soprattutto il primo Allegro ma non troppo e il secondo Allegro appassionato (in re minore!) ne hanno assai patito; ma anche le sublimi ambagi dell’Andante (divenuto un allegretto) e la vivacità un po’ ebbra e malinconica del finale non sono andate troppo meglio. Certo Giltburg non sbaglia una nota, sostiene impavido i tempi di Petrenko, ha un suono di rara potenza, ma basta? E soprattutto in Brahms? E non pareva qui che un Rembrandt fosse stato ridipinto da un Andy Warhol? Alcuni hanno mormorato (e scritto) che il bis di Rachmaninov era assai più centrato di tutto il concerto.

Una non eccelsa ouverture Meeresstille und glückliche Fahrt di Mendelssohn apriva la serata: e Petrenko, dopo una calma quasi immobile all’inizio, ha descritto un viaggio più che felice, trionfale, quasi l’avanzata gloriosa dell’ammiraglia di Sua Maestà di tutte le Russie con l’intera flotta. La mer di Debussy è stata infine una prova di virtuosismo orchestrale fuori del comune: e come Giltburg, anche l’Orchestra ceciliana ha mostrato di poter sostenere le sfide estreme di Petrenko. Così all’impressionismo delicato, disegnato in punta d’inchiostro di china, ai colori tenui e opalescenti, al gusto orientaleggiante caratteristici d’un Monteux o anche d’un Boulez, è subentrata pur qui una pittura fauve forse ultra petita, forse più Novecento russo che francese. Certissimo clamorosa e tale da épater le public, che infatti ha docilmente e vistosamente applaudito. Favolose tutte le prime parti dell’orchestra, beninteso il corno di Alessio Allegrini, il violoncello di Luigi Piovano, il violino di Andrea Obiso, l’arpa di Cinzia Maurizio.

Sala Santa Cecilia pienissima, vista la fine delle restrizioni e dei distanziamenti.

Maurizio Modugno

Foto: Musacchio, Ianniello e Pasqualini.

Data di pubblicazione: 18 Ottobre 2021

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