Stresa Festival parte nel segno del sacro

BACH Passione secondo Matteo soprano Carlotta Colombo contralto Isabella De Massis tenore Massimo Lombardi basso Giacomo Nanni Evangelista Vincenzo Capezzuto Gesù Christian Senn Ars Cantica Choir, direttore Marco Berrini Accademia dell’Annunciata, direttore Riccardo Doni

ROSSINI Petite messe solennelle soprano Gabrielle Philiponet mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco tenore Edgardo Rocha basso Christian Senn pianoforti Francesco Corti, Maria Shabashova harmonium Deniel Perer Coro Ghislieri, direttore Giulio Prandi

Stresa, Palazzo dei Congressi, 20 e 23 agosto 2022

Al secondo anno di direzione artistica dello Stresa Festival, Mario Brunello incomincia a lasciare il segno in maniera più netta sulle scelte di programmazione, per ridare un’identità ad un festival che ha bisogno di capire cosa vuole fare ed essere nei prossimi anni: se il pubblico più tradizionale e tradizionalista cerca sempre (e solo) i concerti delle grandi orchestre, magari con celebri solisti, Brunello sta evidentemente provando a bilanciare questa abitudine evidentemente non più sostenibile da un punto di vista esecutivo con nuove idee, che prevedono anche incontri con il pubblico, entrata gratuita per i giovani e un’apertura di nuovi spazi, come il palco acustico sull’Isola Bella. Anche il Palazzo dei Congressi, sede dei concerti più “grossi”, è stato dotato di una nuova camera acustica e sono stati posizionati sui lati alcuni pannelli di legno: il risultato è apprezzabile, ma certo l’acustica rimane secca e poco generosa verso le voci.

Inframezzati dal Signum Saxophone Quartet all’Isola Madre, i primi due concerti dell’edizione 2022 si sono concentrati sulla musica sacra: e l’idea di partire da una nuova produzione della Passione secondo Matteo è stata certamente ambiziosa e coraggiosa. I risultati sono stati ottimi, e premiati con lunghissimi applausi dal pubblico: ma secondo me il punto nodale di tutta l’operazione, che mi ha lasciato molto perplesso, è la presenza di Vincenzo Capezzuto come Evangelista. L’idea, anche evocando — in maniera un po’ pretestuosa — l’anniversario pasoliniano (cent’anni dalla nascita), che di questa Passione ha fatto uso indimenticabile al cinema, era di affidare all’Evangelista il ruolo — cito Capezzuto — «di colui che narra LA STORIA, così come riportata dalla sacra scrittura», all’uopo impiegando «gli strumenti di espressione a me più congeniali (il movimento del corpo, l’impiego della voce, congiunti a musica e parola». Ottimi propositi, realizzazione modesta: perché Capezzuto, invece di osare e, magari, scegliere l’uso della lingua italiana, anche parlata, o anche una riscrittura radicale dei lunghi recitativi, che davvero mettesse in comunicazione il pubblico con la Storia, si è limitato ad imitare, con risultati discutibili, un classico tenore bachiano, con una vocina gradevole, non impostata e anzi amplificata, in più con una pronuncia tedesca rivedibile. E non basta certo girovagare sotto il palco a piedi scalzi, tambureggiando le dita sulla gamba al ritmo della musica! Peccato, ci voleva solo più coraggio. Il resto era di ottimo livello: alle prese per la prima volta con il monumento bachiano, Riccardo Doni conferma intelligenza e buon senso, impostando una lettura molto scorrevole (a volte anche troppo, in certi corali) e contrastata, espressiva senza monumentalità (d’altronde poco proponibile con organici ridotti all’osso): di grande qualità tutti i musicisti dell’Annunciata, dalla spalla (Carlo Lazzaroni) ai due flauti, dalla viola da gamba di Cristiano Contadin al liuto di Elisa La Marca. E l’Ars Cantica Choir di Marco Berrini è una garanzia di intonazione, precisione e luminosità timbrica, con una “italianità” che certo non nuoce a Bach, specie con un quartetto di solisti tutti di casa nostra: spicca Carlotta Colombo, impeccabile per pronuncia e luminosità timbrica, capace di un canto morbido e sempre sostenuto (solo qualche incertezza in “Aus Liebe”), così come il basso Giacomo Nanni ha una morbidezza vellutata in cui la parola si adagia e acquista valore. Singolare Massimo Lombardi, un tenore di schietto squillo italianeggiante, che ci immagineremmo come Idomeneo o in ruoli ancora più tardi, ma che nelle arie bachiane mostra un lirismo troppo spesso assente in letture anemiche, mentre Isabella De Massis, che ha sostituito un mito come Sara Mingardo, ha certo delle frecce al suo arco, specie per il bel colore brunito, ma appare ancora acerba tecnicamente. Infine, Christian Senn, un Gesù elegante e intenso, ma che mi è parso più a suo agio nella Petite messe di tre giorni dopo che nei recitativi bachiani.

Giulio Prandi e il Coro Ghislieri

Già, perché il 23 agosto Giulio Prandi ha proposto dal vivo la sua premiatissima (da noi dell’ICMA…) lettura della Petite messe rossiniana, secondo l’edizione critica di Davide Daolmi e con strumenti storici: l’harmonium e i due pianoforti, un Pleyel e l’Érard suonato da Francesco Corti, semplicemente incantevole per colore e affinità stilistica, culmine un Prélude religieux incantevole. In sala si è rinnovato il miracolo del disco: i quindici coristi del Ghislieri hanno provato quanto lo stesso Prandi mi ha dichiarato nell’intervista pubblicata su MUSICA di settembre, ossia che questo livello di perfezione tecnica e stilistica si può ottenere solo dopo tantissimi anni di lavoro comune e di intenti condivisi. Non è solo questione di esattezza di intonazione, di precisione nell’esecuzione delle linee contrappuntistiche (ad esempio nella fuga “Et vitam”): con Prandi, sentiamo l’eredità di secoli di stile severo depositarsi sulla scrittura rossiniana, una ricchezza dinamica e timbrica quasi incredibile, un uso del vibrato sempre parco e con un preciso intento espressivo, la capacità di variare e dare senso ad ogni ripetizione. Insomma, un piccolo miracolo, condiviso con tre dei quattro cantanti che hanno partecipato anche all’incisione: Josè Maria Lo Monaco ha una voce piccola ma bellissima, e il suo “Agnus Dei” conserva le stimmate di un dolore rattenuto eppure consolato che, insieme al Coro Ghislieri, lascia un sigillo indimenticabile sull’esecuzione, mentre Edgardo Rocha rinuncia a farsi vanto del suo bellissimo e luminoso squillo per cercare senza posa sfumature e intenzione, così come Christian Senn, nel lungo “Quoniam”, arriva a livelli ancora superiori a quelli ascoltabili nell’incisione Arcana. In quel disco il soprano era Sandrine Piau, mentre a Stresa era prevista un’altra collega, poi sostituita all’ultimo istante dalla francese Gabrielle Philiponet, a cui ovviamente va reso l’onore delle armi: ma la distanza tra una buona lettura e un’interpretazione meditata nel lavoro di anni era tutta ascoltabile nella sua voce.

Concerto, insomma, di quelli che rimangono nella memoria a lungo, e che è stato salutato da applausi interminabili, ripagati da un bis del “Cum sanctu spiritu”.

Nicola Cattò

Data di pubblicazione: 24 Agosto 2022

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