Orchestra che va, orchestra che viene: la Hong Kong Philharmonic a Roma

LO TING-CHEUNG Asterismal Dance RACHMANINOV Rapsodia su un tema di Paganini MAHLER Sinfonia n. 1 in Re maggiore “Il Titano” pianoforte Alexandre Kantorow Hong Kong Philharmonic Orchestra, direttore Jaap van Zweden

Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 5 marzo 2024

Partita l’Orchestra dell’Accademia per un’eclatante tournée al Festival di Pasqua a Salisburgo (La Gioconda e la Messa da requiem dirette da Pappano; Berlioz e Martinů diretti da Jakub Hrůša), passata veloce al Teatro dell’Opera la Chicago Symphony diretta da Muti, arriva ora al Parco della Musica la Hong Kong Philharmonic Orchestra diretta da Jaap van Zweden con l’(ex) enfant prodige francese del pianoforte, ossia Alexandre Kantorow. Non vorremmo sembrar partigiani premettendo che i complessi ceciliani stanno qualcosa sopra americani e cinesi (le recenti Turandot e Messa da Requiem ne son la prova provata per colore, potenza ed anima): diciamo però che indubbiamente l’ampia falange orientale (ma un buon terzo, soprattutto i fiati sono occidentali) non è di qualità men che ragguardevole. Precisione di attacchi e stacchi al limite del maniacale, risposta immediata alle istanze dinamiche più clamorose, ottoni di grande splendore. Non attribuiremmo il suono peculiare degli archi – poco vellutato, talora decisamente arido e raramente generoso di vibrato – a colpe lievi o gravi dei professori cinesi. Come poi il concerto alla fine ha mostrato, è dalla bacchetta di Zweden che venivano una serie di scelte musicali ed interpretative senz’altro singolari e beninteso concernenti anche il suono. Di ciò peraltro diremo meglio fra poco.

Alexandre Kantorow

Il programma si apriva con la prima esecuzione italiana di Asterismal Dance di Daniel Lo Ting-Cheung, uno dei compositori più giovani e attivi di Hong Kong. Dottoratosi all’Università di York nel Regno Unito nel 2017 sotto la supervisione di William Brooks, nel 2012 Lo ha vinto vari premi in concorsi internazionali, tra cui il 1° premio al 3° Concorso Internazionale di Composizione Musicale Migratory Journeys (USA, 2010/2011) e il 7° Concorso di Composizione Musica e Arte (Roma, 2011). Uno degli attuali interessi compositivi di Lo è il cercare modi per integrare la musica con la letteratura. In particolare questo Asterismal Dance (commissionato proprio dalla Hong Kong Philharmonic per la propria cinquantesima stagione) si ispira alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk e ai suoi cosiddetti romanzi-costellazioni. E nel breve brano ascoltato a Roma materiali vari, pur d’una sola radice tematica passavano nelle diverse sezioni dell’orchestra, s’aggregavano sino a formare una sorta di danza ritmata, che ha una sua qualche forza materica, pur non dimenticando alle proprie spalle né Bernstein, né Bartók.

Seguiva la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov. Che aveva in Alexandre Kantorow un solista che, quanto a look, sembrava appena uscito da una metropolitana nell’ora di punta a luglio (non dico il frac, ma forse più in ordine di così sarebbe doveroso presentarsi); però quanto a suonare il pianoforte è oggi certo tra i più formidabili (non solo) della sua generazione. Colore brunito eppur brillante del suono, tecnica d’acciaio che non teme nemmeno uno dei passaggi monstre inventati da Rachmaninoff per sé stesso. E un gusto interpretativo che qui aggiunge al dovuto spirito fantasque,tra Berlioz e Liszt per intenderci, un tocco di cocasse ironico, se non irriverente. Tuttavia Kantorow ci è parso come un po’ “ingabbiato”, come libero d’esprimersi e di volare solo entro i limiti assai severi offertigli da una direzione di van Sweden spesso preponderante, mai incline ai rubati, imperterrita nei tempi e nelle dinamiche qual mai né il divino Sergej, né l’imaginifico Volodja (Horowitz) avrebbero patito. E in contrasto, rigida e appena aspra qual s’ascoltava l’orchestra, con l’invitta morbidezza di scale, ottave ed arpeggi quali sortivano dalle preziose mani di Kantorow.

Il discorso si faceva ancor più problematico con la Prima Sinfonia di Mahler. Mai invero udita così lontana dalla poetica del suo autore. Che mal patisce l’assenza di una dialettica tensione-distensione a favore di una sola tensione sì elettrizzante, ma in ultima analisi non priva d’isteria. Che invano ha steso lunghe, liricissime pagine ove invoca la pietas dell’umanità sul cogitabondo e malinconico schubertiano viandante che di tal sinfonia è il protagonista, se queste son sbrigate alla svelta e senza pathos alcuno. Che ha inutilmente costruito il suo possente ultimo tempo per ergere un monumento alla speranza di redenzione dell’Uomo e con lui di tutta la Natura nell’Apocalisse finale, se questo è stato condotto a velocità delirante (forzosamente inevitabili alcuni tratti confusi) e ad esibizione d’un suono assai più idoneo alla metallica Leningrado di Shostakovich che all’appassionato Titano di Mahler.

Applausi, certo, che però sempre più spesso oggi si commisurano alla potenza dei decibel prodotti.

Maurizio Modugno

Data di pubblicazione: 7 Marzo 2024

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