Mantenere la leggerezza: la ricetta di Eleonora Buratto

Eleonora Buratto (foto Dario Acosta)

Reduce dal successo personale come Antonia nei Racconti di Hoffmann alla Scala (qui la nostra recensione), Eleonora Buratto sta vivendo un momento particolarmente felice della propria carriera: il soprano mantovano, infatti, negli ultimi anni ha inanellato una serie di debutti in un repertorio assai ampio, che va da Rossini (l’Otello al Rof la scorsa estate) al Puccini di Butterfly, passando per quel Verdi che, tra Ernani e Don Carlo, appare sempre più come il caposaldo della sua carriera attuale e futura. Ho incontrato (via Skype) Eleonora Buratto il giorno dopo la fine delle recite dell’opera di Offenbach e poco prima di partire per New York, dove sarà Mimì in una serie di recite di Bohème: l’occasione era (anche) parlare dell’incisione della Messa di gloria di Rossini, diretta da Sir Tony Pappano, che ha conquistato il premio Icma 2023 nella categoria Choral Music.

L’anno prossimo festeggerai 15 anni di carriera, eppure per l’ampiezza del tuo repertorio e il prestigio dei teatri in cui canti sembra ne siano passati molti di più: è già tempo per un primo bilancio?

Ma davvero? Non l’avevo realizzato! In effetti sì, un primo bilancio è utile anche per ricordarsi delle tappe raggiunte, di come le si è raggiunte, se ci sono stati errori, capire se si poteva fare meglio per non ripetere, in futuro, errori di valutazione.

Come molte cantanti, hai iniziato con un repertorio più leggero, virando poi verso quello da lirico puro: ma Rossini è ancora ben presente. Come è cambiato il tuo modo di affrontarlo tecnicamente?

In realtà avrei voluto che Rossini avesse fatto parte della mia carriera anche all’inizio: un ruolo fra tanti che non ho potuto mai cantare è Fiorilla nel Turco in Italia. Oltre alle produzioni concertistiche (penso allo Stabat Mater e alla Petite messe solennelle), per fortuna mi sono arrivate le proposte per opere grandiose come Moïse et Pharaon e, appunto, Otello, cantato a Pesaro: con una giusta tecnica e un giusto calcolo dei tempi tra una produzione e l’altra non è impossibile cantare sia Butterfly che Desdemona. Occorre avere un adeguato periodo di riposo: l’anno scorso dopo Butterfly ho cantato Bohème e, soprattutto, l’Alice del Falstaff che mi ha permesso di rinfrescare quella agilità, quella leggerezza che sono vitali in Rossini. Anche perché non canto Cio-Cio-San appesantendo la voce, ma rispettandola, giocando con i colori, cercando di differenziare i tre atti sottolineando l’evoluzione dalla bambina ingenua del primo alla tragedia finale. Questo, secondo me, è un modo per garantire la salute della voce: ma la tecnica prima di tutto.

Anche perché, poi, dipende quale Rossini si canta: Desdemona è un ruolo Colbran, che mi pare molto adatto alla tua voce attuale…

Esatto, è proprio così: i ruoli che posso mantenere in repertorio sono proprio quelli. Ed è un grande piacere cantarli. Ora ho due titoli che vorrei davvero affrontare: Guillaume Tell e La donna del lago. Qualcuno mi ha pure chiesto un Ermione…: va valutato con cura.

Parliamo di questa Messa di gloria: come si è svolta l’incisione?

Non conoscevo questa musica, la mia agenzia mi ha sottoposto la proposta e quindi ho letto con cura lo spartito: visto che le date sarebbero state poco prima del Requiem verdiano a Parigi, ci ho pensato un po’, proprio per quanto dicevo prima. Ma era una proposta lusinghiera, ed è andata benissimo: tenevo tantissimo a lavorare con il Maestro Pappano, con cui avevo solo inciso il piccolo ruolo della Sacerdotessa in Aida. Durante le prove musicali e quelle coll’orchestra, mi ha aiutato moltissimo a capire aspetti di Rossini che io affrontavo con un punto di vista più tardo, arrivando con troppa pesantezza nella voce: non mi ha chiesto di spoggiare, ma di alleggerire la voce e il pensiero. Mi ha aiutato a trovare una chiave di lettura per cui io gli sono molto riconoscente: sono riuscita a fare agilità e salite in acuto in pianissimo, mi ha aiutato a riscoprire aspetti della mia tecnica che non stavo più sfruttando. E si tratte di pagine, per il soprano, acute e assai virtuosistiche. Non so quando potrò rivedere il Maestro: c’era un progetto pucciniano con lui a Londra (La rondine), ma è stato rinviato.

L’esecuzione della Messa di gloria a Roma (©Accademia Nazionale di Santa Cecilia / Musacchio, Ianniello & Pasqualini)

Per tanti cantanti lavorare con Antonio Pappano è un’esperienza unica: perché, secondo te?

Non voglio restringere il discorso solo su di lui, ultimamente ho avuto meravigliose esperienze musicali anche con Daniele Gatti, ma certo ci sono direttori capaci di trasmetterti la loro idea musicale, di farti entrare in una visione senza però forzarti: ti accompagnano verso una lettura, ma senza forzarti, assecondando la tua voce e supportandoti. Per noi cantanti è una grandissima cosa, non siamo lasciato allo sbando.

Questa incisione si accoda alle non troppe che tu hai effettuato in studio: cosa cambia, a livello psicologico e tecnico?

In realtà io non ho mai lavorato in un vero studio di registrazione: sia questa Messa a Roma che la Petite messe in Lussemburgo sono state registrate nella sala grande, ovviamente senza pubblico. Abbiamo lavorato, in entrambi i casi, con delle prove di assieme che venivano registrate, e poi dei concerti dal vivo anch’essi conservati: tutti questi file servivano a creare la migliore versione possibile. Il Maestro Pappano è molto attento a questo: era concentratissimo sull’esito finale del disco. Tanto che un’esecuzione completa, dall’inizio alla fine, l’abbiamo fatta solo la sera del primo concerto! Per fortuna è andato tutto benissimo.

Oltre alla carriera teatrale, c’è quella concertistica: come componi i tuoi programmi di recital?

Non ho una grande competenza sulla liederistica tedesca, e fino a oggi non mi sono stati chiesti concerti di questo tipo, bensì serate con arie d’opera; in genere, vado a mio gusto e mi faccio consigliare dai pianisti con cui lavoro, ad esempio Davide Cavalli (anche in occasione del recente Tebaldi 100). Dove non arrivo io, chiedo volentieri aiuto: e so a chi chiedere. Ci vorrà un po’ di tempo per arricchire questo lato del mio repertorio.

In effetti l’anno scorso hai portato in scena debutti imponenti: Butterfly, Bolena, Don Carlo. Pensi di avere trovato l’equilibrio perfetto del tuo repertorio odierno, tra Verdi, Puccini e il Belcanto? Un equilibrio che può far pensare alla giovane Tebaldi…

Sì, ho trovato un mio equilibrio, non ho paura a rifiutare proposte che trovo esagerate, come Tosca (che canterò, ma certo non ora), in funzione della mia programmazione dei prossimi anni, in cui devo affrontare le altre due regine donizettiane. Mi piacerebbe che qualcuno pensasse a me come Norma! Non mi posso lamentare, ho un calendario meraviglioso: vorrei semmai vivere un po’ più di rendita. Intendo che una volta, quando si debuttava in un ruolo, si facevano tantissime recite, mentre a me non succede: l’anno scorso ho fatto quattro debutti, e solo per coincidenza mi è capitato di ripeterne uno a breve distanza (Elisabetta del Don Carlo a Firenze), mentre Otello e Anna Bolena non compaiono nel mio futuro. E questo mi è successo anche in passato, fin dall’inizio della mia carriera: ho fatto due sole volte Elisir (alla Scala e a Madrid), un ruolo nel quale potevo crescere, e lo stesso vale per Norina nel Don Pasquale. Invece mi hanno chiesto continuamente titoli nuovi, in un modo forse troppo veloce. L’ideale sarebbe un debutto l’anno: e invece anche quest’anno ci sono Antonia nei Contes d’Hoffmann, Suor Angelica e Maria Stuarda, oltre alla Butterfly che canterò a Brescia nella versione, appunto, di Brescia.

Butterfly, farfalla, è per te anche il nome di un progetto di charity: ce ne vuoi parlare?

Sono testimonial da anni della ricerca contro l’epidermolisi bollosa, malattia rara e debilitante che porta le persone ad essere medicate quotidianamente perché la loro pelle è fragile come le ali di una farfalla. Non c’è cura attualmente, però si è scoperto che riguarda la mutazione di un solo gene. Si fanno raccolte fondi per sostenere la ricerca e aiutare le famiglie di questi bambini, che hanno bisogno di cure e attenzioni: non riguarda, poi, solo la pelle esterna ma anche i tessuti degli organi, con tutti i problemi che ne derivano. E ci sono vari gradi della malattia: chi riesce ad avere una vita pressoché normale (come la presidente di Debra Süditirol, l’associazione con cui collaboro), e chi purtroppo non riesce a diventare adulto.

Mi hai già parlato di progetti futuri: qualcosa anche in studio di registrazione?

Sì: inciderò l’anno prossimo un titolo verdiano per Opera Rara. E sto aspettando che qualcuno mi proponga di incidere un CD solistico!

Nicola Cattò

Data di pubblicazione: 1 Aprile 2023

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