Rinasce il primo intermezzo comico napoletano

BOERIO Bello tiempo passato G. Naviglio, P. De Vittorio, O. Cafiero, R. Totaro; Cappella Neapolitana, direttore Antonio Florio movimenti scenici Pino De Vittorio costumi Annalisa Giacci

Parco Borbonico del Fusaro – Sala Ostrichina, venerdì 17 giugno 2022

Antonio Florio mette a segno un altro bel colpo nel suo lavoro di ricerca e riproposizione di piccoli e grandi tesori della scuola musicale napoletana. Con la sua la Cappella Neapolitana, nella Sala Ostrichina del Parco Borbonico del Fusaro, ha eseguito in prima rappresentazione moderna Bello Tiempo Passato, il primo intermezzo comico di cui si abbia traccia.

L’intermezzo era inserito nel manoscritto, datato 1673, dell’opera Il Disperato innocente di un compositore pochissimo noto, Francesco Boerio. Si tratta dunque del più antico intermezzo napoletano, almeno fino ad una nuova possibile sorpresa proveniente dalla biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella o da altri archivi ancora in parte inesplorati.

Gli intermezzi comici hanno un posto di grande rilievo nella Storia dell’Opera, in cui ufficialmente fanno la loro apparizione nel primo Settecento: tuttavia, come scrive Dinko Fabris nel programma di sala, la loro origine può farsi risalire all’incontro avvenuto tra la commedia dell’arte e l’opera in musica a Venezia dopo il 1637, con la nascita dei primi teatri aperti ad un pubblico pagante.

In quel contesto, negli intervalli tra gli atti di un’opera seria, due personaggi comici estrapolati dalla trama della stessa opera intrattenevano il pubblico con scenette comiche. Con le compagnie itineranti, questa pratica giunse a Napoli, dove i primi intermezzi, chiamati anche “tramezzi”, si trovano nei libretti di opere sacre: il genere poi si perfezionerà e diventerà autonomo nel primo ‘700 proprio in ambiente partenopeo, dove ebbe il suo apogeo artistico con La serva padrona di Pergolesi, celebrata in tutta Europa.

In Bello tiempo passato, in cui si alternano passaggi strumentali, recitativi e arie solistiche e d’insieme, la trama ripropone un canovaccio utilizzato dalle compagnie comiche del Seicento. I personaggi sono quattro maschere tipiche della Commedia dell’Arte partenopea: un Napoletano (un oste alla ricerca di clienti da abbindolare), un Calabrese (forestiero e perciò vittima predestinata), uno Spagnolo (il solito soldato fanfarone) e un Ragazzo (prototipo del monello furbo che si prende gioco dei tre). Tutti recitano e cantano nelle rispettive lingue, napoletano, calabrese e spagnolo, tranne il Ragazzo, che si esprime in italiano.

I musicisti della Cappella Neapolitana guidati da Florio adoperano strumenti barocchi, di cui sono veri specialisti: il cembalo, la tiorba, il chitarrone, la chitarra spagnola il calascione, oltre a violini e violoncello. L’operina, che dal punto di vista vocale e strumentale è più elaborata di quanto si possa presumere, ha riproposto in modo storicamente informato (ma non per questo meno vivace) i suoni, le voci, i colori, i lazzi, insomma l’atmosfera di smodata allegria che si doveva vivere nei teatri del Seicento a Napoli.

Tutti gli attori-cantanti, che indossavano i magnifici costumi di Annalisa Giacci, sono stati bravissimi: l’Oste napoletano era Pino De Vittorio (a cui si devono i movimenti di scena, anch’essi filologicamente curatissimi); il Calabrese sciocco era Giuseppe Naviglio, il Ragazzo furbo era interpretato a Olga Cafiero, mentre lo Spagnolo spaccone era il versatile Rosario Totaro.

Lorenzo Fiorito

Data di pubblicazione: 27 Giugno 2022

Related Posts