Equilibrio e sostenibilità: la sfida culturale di Fondazione Entroterre

Claudio Borgianni

La necessità di ripensare i modelli di produzione culturale è un’esigenza sempre più evidente, di fronte alle falle di un sistema che non funziona più, in Italia, né nelle aziende culturali più grandi e strutturate (inutile citare i recenti problemi del Maggio Fiorentino), né in quelle piccole e piccolissime, spesso prive delle competenze necessarie a cogliere le opportunità economiche e produttive che si presentano. Mi è parso allora interessante parlare con Claudio Borgianni, Socio fondatore e Presidente della Fondazione Entroterre, ente del terzo settore che nasce nel 2022 con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione e lo sviluppo dei territori attraverso la forza della cultura e un metodo partecipativo. Un argomento forse complicato, che lo stesso Borgianni ci spiega con passione e metodo in un’intervista.

Quando nasce Fondazione Entroterre? E con quali obiettivi?

Abbiamo appena compiuto un anno, senza neanche poterlo festeggiare visti i tantissimi impegni che abbiamo: e l’occasione è stata la cessione di un ramo d’azienda. C’era una società cooperativa che offriva servizi al mondo culturale (Romagna Musica, ora RM servizi) e, con una sorta di responsabilità sociale di impresa, reinvestiva parte degli utili sui territori in cui operava: era perciò nato, circa 25 anni fa, un festival con 90 date, diffuso in tutta l’Emilia Romagna, che nel tempo ha preso il nome di “Entroterre”. Era finanziato da 19 amministrazioni comunali e nel 2018 era entrato nei finanziamenti del Fus. Il festival era cresciuto “troppo”, almeno per quanto l’azienda riusciva a gestirlo: anche io ero un cliente di Romagna Musica  con il gruppo Soqquadro Italiano e il 17 febbraio 2020 mi chiedono di collaborare alla parte di sviluppo. Immediatamente arriva il Covid e si ferma tutto ma, lavorando d’estate, il festival va avanti. Arriviamo alla fine del 2021 e il progetto cambia, coincidendo con la cessione del ramo d’azienda: solo così il festival poteva avere nuova vita. Ma, verso gennaio 2022, le cose cambiano ancora: quello che nasceva come festival era ora diventato un attivatore di progetti e già a marzo ne avevamo sei attivi (ora sono 19). Insomma, abbiamo reso evidente un problema: riallacciare la cultura alle necessità dei territori. Ecco perché nasce Fondazione Entroterre, per mettere in pratica l’articolo 55 della riforma del terzo settore, che parla di co-programmazione e co-progettazione: se quest’ultima è abbastanza conosciuta, sulla prima — ossia l’individuazione dei bisogni e degli interventi, creando un processo di attivazione attraverso la cultura — ancora c’è molto da lavorare.

Il campo d’azione parte dall’Emilia Romagna, ma poi si è già allargato…

Certo, vogliamo costituire un soggetto nazionale: abbiamo aperto un ufficio a Roma, e il Lazio sta diventando una priorità per il 2023. Vorremmo costruire una struttura dell’entroterra italiano, una costola appenninica e poter lavorare in maniera diffusa.

Come si intreccia la sua storia professionale all’attività della Fondazione?

Nel mondo culturale italiano manca la figura del manager culturale: poche università li formano e quei pochi se ne vanno all’estero, perché qui non trovano sbocchi. Io sono un musicista, ho studiato pianoforte (ho iniziato da piccolo, vedendo la banda nel paese in cui vivevo); poi sono passato alla prosa, come autore, regista e attore, ma il filo rosso era sempre la musica. Ad un certo punto è nato Soqquadro Italiano, in cui confluivano teatro, musica, ricerca sul barocco ma con spinta all’innovazione, al crossover: e lì ho un ruolo ambiguo tra direzione artistica e manageriale. Il punto d’arrivo, in cui mi sento a mio agio, è il puro management culturale.

Nella comunicazione e nelle attività della Fondazione ritorna frequentemente la parola “sostenibilità”: cosa intende?

E’ un punto centrale, che viene sempre sottovalutato: oggi a quella parola leghiamo soprattutto le tematiche ambientali, però per un’azienda culturale oggi la sfida è trovare l’equilibrio, ossia agganciare il senso della propria esistenza ad un bisogno che viene dal basso, dal territorio su cui opera. Questo poi si lega alla sostenibilità economica, con sistemi di fundraising che non siano il finanziamento pubblico, che sta andando a scomparire: strutture più efficienti, più efficaci, che sappiano progettare in modo nuovo, con rispetto delle necessità ambientali. Tutto questo complesso di istanze si riassume con “sostenibilità”, il cui obiettivo finale è il benessere, sia personale che sociale, sia culturale che economico.

Un processo che sembra lontano dalla realtà dalle fondazioni liriche, come l’attualità ci insegna!

Il cambiamento, secondo me, verrà dalle piccole realtà, dal basso, con reti operative e fattive: ma solo se si sposano valori e indirizzi comuni. A me piace la parola “boosting”, che ho scoperto essere un sistema di apprendimento dell’intelligenza artificiale basato sulla condivisione degli errori: invece di condividere buone pratiche — lo facciamo da 20 anni! — dovremmo forse cambiare la prospettiva. Io lo dico da 20 anni, e sembravo un pazzo: ma il Covid ha cambiato il mondo in cui viviamo, o almeno ha accelerato alcuni processi. Non accadrà nulla nelle grandissime aziende culturali, che saranno sempre più in difficoltà: le opportunità verranno dai piccoli, che potranno ridisegnare modelli nuovi.

Mi parla, fra i progetti a cui lavorate, di qualche progetto legato alla musica classica?

Ci stiamo interrogando sull’attivazione di progetti partecipativi, ossia riagganciare le persone a quel mondo scardinando le consuetudini d’ascolto, anche grazie alla tecnologia (che è uno strumento, non un obiettivo). Penso al progetto “Periferia portami via”, realizzato sia nel Lazio che qua a Bologna, che prevede di andare nelle aree periferiche, facendo lezione e laboratori nelle scuole, e programmando attività concertistica sia in contesti fuori dagli schemi, come un supermercato o un centro sociale. Basta convincere, coinvolgere anche una sola persona in contesti nuovi: vuol dire che il progetto ha funzionato.

La riforma del terzo settore avrà delle conseguenze ancora poco note alla maggior parte dei soggetti coinvolti. Cosa ne pensa?

Quando tutto il processo di riforma sarà attuato, temo che vedremo una moria di attività culturali. La legge è uscita nel 2017; il 19 ottobre 2022 è stata emanata la legge sui criteri ambientali minimi, che è molto dettagliata, ma che nessuno conosce. L’anno prossimo forse ci sarà anche la riforma fiscale, che sarà una rivoluzione. Ma il sistema culturale vive le riforme in maniera passiva, reagisce alla bell’e meglio quando è troppo tardi. Bisognerebbe invece imparare dal mondo dell’impresa, che è abituato ad anticipare i trend, ad esserne parte: il mondo culturale vince se mette in equilibrio la parte normativo-fiscale con quella artistica. C’è il RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore)? Ci si inserisce. C’è l’Art Bonus? Qualcuno lo usa, altri no: ma c’è un’ignoranza totale da parte dei commercialisti, che avremmo potuto evitare se avessimo fatto pressione sull’ordine dei commercialisti. Non sono più solo le istituzioni a doverlo fare ma anche le aziende del terzo settore.

Quali sono invece i punti di forza del terzo settore italiano?

Siamo tanti e valiamo una buona fetta di PIL: dobbiamo quindi partire da lì, creando reti e sovrastrutture, uscendo dai nostri orticelli. Voglio citare Bologna Jam, creato con fondi europei, che coordina realtà del territorio: ogni partner ha continuato a lavorare secondo le sue competenze, a fare quello che sapeva fare, ma sgravato da tutte le beghe burocratiche e organizzative. Un modello nuovo, quello del “coordinare chi fa”: e sempre di più questo diventerà la nostra attività.

Collaborate anche con università per attirare una nuova classe dirigente culturale?

Abbiamo una convenzione con l’Università di Bologna, nel nostro consiglio di indirizzo ci sono professori di sociologia e geografia; il prossimo step sarà legarci a chi studia management culturale, in prospettiva collaborando con la Bocconi. Vorremmo formare manager culturali e costruire loro un mercato del lavoro in cui inserirsi.

Visto che prima mi ha citato Soqquadro Italiano, vorrei che mi dicesse a che punto siamo!
Anche lì è un momento rifondativo: è un progetto della Fondazione e stiamo per lanciare un nuovo disco, in uscita a giugno. Ora ci confrontiamo con le radici del nostro essere in Emilia Romagna, con un progetto sul liscio dal titolo “Balla la bella”, che vuole togliere la polvere da un repertorio bistrattato, ma che invece, fin dall’inizio del ‘900, è musicalmente stupendo e attinge a quel flusso culturale e storico che, tra il colto e il popolare, Soqquadro ha sempre affrontato.

Abbiamo parlato di produzione culturale, ma il problema oggi, in Italia e altrove, è anche la fruizione, ossia il rapporto col pubblico: anche di questo si occupa Fondazione Entroterre?

È un tema forte, sul quale ci interroghiamo e su cui operiamo: tutto riparte, ancora, dall’esigenza di fare rete (e a breve ne lanceremo una su questi temi, dal nome Zenit). Questa rete servirà a scardinare molti luoghi comuni. Occorre ripensare persino i ruoli artistici, decisionali: il concetto di direttore artistico è tramontato, è un ruolo che va inserito in un contesto più ampio. Una sorta di direttore artistico 4.0 che noi chiamiamo “direzione impatti e sostenibilità”, che dà tutta la linea guida. Ogni azione che facciamo ha un impatto, che va compreso e valutato. E infine dobbiamo riagganciare il mondo culturale ai bisogni: da qui nasce la programmazione. Questa ricetta può riattivare un percorso partecipativo reale.

Ma è ottimista?

Non è importante il risultato, quanto il processo: ora tutto ci sembra lontano, ora è fondamentale riattivare le persone, gli operatori culturali, ridare un orizzonte. Bisogna partire subito.

Nicola Cattò

Evelyn Glennie

SENTI! La storia di una musicista sorda

Omaggio a Dame Evelyn Glennie

L’esaltante percorso artistico e umano di Dame Evelyn Glennie diventa uno spettacolo ideato e interpretato da Catalina Vicens, con la realtà aumentata in cuffie a conduzione ossea a cura di MezzoForte, prodotto da Fondazione Entroterre

Musiche originali di Evelyn Glennie, Carlotta Ferrari, Catalina Vicens, Johann Sebastian Bach e della tradizione popolare

Bologna, Museo di San Colombano. Collezione Tagliavini

Giovedì 30 marzo ore 18.30 e ore 21.00

Sabato 24 giugno ore 21.00, domenica 25 giugno ore 12.00

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Prenotazione del posto obbligatoria su Eventbrite

Giovedì 30 marzo 2023, alle ore 18.30 e in replica lo stesso giorno alle ore 21.00, nelle sale della Collezione Tagliavini, all’interno del Museo di San Colombano di Bologna, debutta in prima esecuzione in seno alla rassegnaSan Colombano No Limits lo spettacolo musicale in realtà sonora aumentata SENTI! La storia di una musicista sorda. Omaggio a Dame Evelyn Glennie.

Ideato da Catalina Vicens e prodotto da Fondazione Entroterre in collaborazione con Genus Bononiae e MezzoForte, lo spettacoloinvita il pubblico a immergersi nella storia di Evelyn Glennie, narrata dal vivo dall’attrice Enrica Sangiovanni, trasmessa in cuffie a conduzione ossea e contemporaneamente doppiata in LIS da Francesca Fantauzzi, interprete specializzata in live performance. Il racconto è accompagnato dall’esecuzione musicale dal vivo, su diversi strumenti della Collezione Tagliavini, di composizioni del periodo classico e barocco, tradizionali, d’autori contemporanei tra cui Carlotta Ferrari e le stesse Catalina Vicens ed Evelyn Glennie, da parte di Catalina Vicens, interprete specializzata nel repertorio antico di fama internazionale, nonché conservatrice del Museo. Narrazione e musica dal vivo sono arricchite dal sound design realizzato da MezzoForte: un incontro tra sistemi di ascolto e fruizione dello spettacolo, tra dimensione reale e virtuale, paralleli, che dà vita a una realtà sonora aumentata e immersiva originale, che è più della semplice “somma delle parti”.

La trama si basa sulla storia vera della percussionista scozzese Evelyn Glennie, che, pur avendo perso l’udito in tenera età, ha ottenuto un successo planetario. La sua vicenda ispiratrice ci racconta di come sia possibile cambiare il proprio atteggiamento nei confronti dei limiti che ciascuno di noi ha, vivendoli non più come ostacoli ma come stimoli: cambiando la sua concezione di cosa significhi “sentire”, la Glennie ha aperto la mente ad un creare fuori dagli schemi. 

Il progetto risponde, per la prima volta, anche ad un’altra richiesta che rimane tutt’oggi inascoltata: rendere lo spettacolo musicale dal vivo accessibile agli spettatori ipoudenti, affetti da ipoacusia o sordità trasmissiva e sordi ma si rivolge al contempo alle persone affette da disabilità visive, cui è destinata una narrazione arricchita in cuffia da contenuti musicali spazializzati.

Il concerto rappresenta infine l’occasione di scoprire il Museo di San Colombano e la sua pregiatissima collezione Tagliavini di strumenti antichi allargata a un pubblico vasto e composito che permette a tutti, allo stesso modo, di scoprire il mondo degli strumenti e della musica di altri tempi.

Lo spettacolo è a ingresso gratuito, con prenotazione del posto obbligatoria su Eventbrite. Dato il numero limitato di cuffie disponibili per performance (30), l’arrivo del pubblico è tassativamente richiesto entro e non oltre le 18.20 pena la rinuncia al proprio posto.

Sono previste repliche sabato 24 giugno alle ore 21.00 e domenica 25 giugno alle ore 12.00.

Data di pubblicazione: 8 Marzo 2023

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