Dalla parte di Mefistofele: Beatrice Rana al Quartetto

SKRJABIN Fantasia op. 28 CASTELNUOVO-TEDESCO Cipressi op. 17 DEBUSSY La Terrasse des audiences au clair de lune (dai Preludi Libro II); Ce qu’a vu le vent d’ouest (dai Preludi Libro I); L’Isle Joyeuse LISZT Sonata in si minore pianoforte Beatrice Rana

Milano, Sala Verdi, 24 ottobre 2023

All’attacco dell’op. 28 di Aleksandr Skrjabin il suono di Beatrice Rana ha immediatamente incatenato a sé l’attenzione del pubblico. Sono davvero bastate poche battute, dal piano appena sussurrato delle prime note fino al forte della quinta battuta del Moderato iniziale della Fantasia in si minore, per farci capire che la pianista salentina sta raffinando sempre più il suo modo di proiettare la sonorità nello spazio: un suono “nuovo”, per profondità delle risonanze e ricchezza degli armonici, che si è probabilmente definito a contatto con i grandi spazi delle sale di concerto di tutto il mondo. Cardine espressivo della sua interpretazione della Fantasia, la seconda idea tematica, in Più vivo, che dapprima è apparsa, sorprendendoci emotivamente, in un’aura di commovente tenerezza, appena mormorata a fior di labbra, ed è poi esplosa, al culmine dello sviluppo, con forza tellurica e gesto leonino, da dominatrice, imperioso, dall’alto, con determinata, volitiva intensità. In questa non dichiarata forma-sonata, la sonorità magmatica, realizzata grazie ad una pedalizzazione costante e abbondantissima, si è organizzata organicamente per campi energetici, in una costante alternanza di condensazione e rarefazione della materia.

Con i Cipressi op. 17 di Mario Castelnuovo-Tedesco, legati all’immagine dell’ondeggiamento dei secolari alberi di Villa Forti a Usigliano, dove negli anni ’20 il compositore trascorse molte estati in compagnia di Ferdinando Liuzzi, sentendosi poi ispirato a comporre in memoria di quei nostalgici paesaggi, nel 1955, il Secondo Quintetto per pianoforte e archi, sono stati un omaggio all’essenzialità del tardo Liszt come alla sensibilità timbrica di Debussy. Connessione che Beatrice Rana ha realizzato di fatto, eseguendo Castelnuovo-Tedesco e Debussy senza soluzione di continuità. Il legame timbrico strutturale tra le opere è stato sottolineato da quei suoni, mi diesis e sol diesis, che accomunano l’armonia conclusiva di do diesis maggiore con sesta aggiunta dei Cipressi alla settima diminuita di apertura de La Terrasse des audiences au clair de lune dal Libro II dei Preludi di Debussy. Inutile dire lo stupore che a tutt’oggi provoca questa incredibile pagina debussiana, ispirata per alcuni a l’Inde sans les Anglais di Pierre Loti, per altri ad una delle Lettres des Indes di René Puaux: è la visione di un’India immaginaria che esordisce in una sfuggente, lattiginosa sonorità notturna e si conclude con una ipnotica successione di quinte vuote, realizzate dalla Rana con un controllo da brivido dei piani sonori, tra l’inquietante monito del do diesis all’acuto e lo stimbrato pianissimo delle quinte parallele in parte interna, costruite all’interno di una armonia di fa diesis priva del suono caratteristico della triade, la terza. Esattamente ciò che aveva fatto in esordio dell’op. 17 l’italiano Castelnuovo-Tedesco: una successione di armonie di quinta e ottava per giustapposizione, da cui il legame linguistico tra le due opere. Lo stesso tipo di connessione, un fa diesis, ha poi legato il Preludio del Libro II al Preludio del Libro I, Ce qu’a vu le vent d’ouest. Sotto le dita della pianista salentina, questo secondo Preludio debussiano ha avuto inizio, sotto un cielo plumbeo, con una sequenza rapinosa di note che hanno onomatopeicamente mimato le raffiche di vento sull’oceano da cui hanno cominciato, a poco a poco, a sollevarsi uragani cromatici. Su tutta la pagina è aleggiata quindi una passione sorda e violenta culminata negli stridenti, esaltati punti melodici culminanti, lame di luce sul metallo, fino a quell’arpeggio, furieux et rapide, che ha preannunciato la fine del pezzo, che arriverà dopo alcune battute, con secchezza.

Ha concluso la prima parte L’Isle joyeuse, pagina ispirata al celebre quadro di Jean-Antoine Watteau, l’Embarquement pour Cythère, in cui, dopo le prime sinuose battute, quasi una cadenza, Beatrice Rana si è rivelata profondamente seduttiva soprattutto nella la terza tematica, ondoyant et expressif, dove in tempo Un peu cédé. Molto rubato risuona un tema in ottave armonizzate che si caratterizza, contrariamente ai precedenti nuclei tematici, per il lungo, avvolgente arco lirico. La Rana ha saputo qui costruire, da una sonorità appena udibile, una campitura avvolgente, interrotta soltanto dal ripresentarsi dell’A tempo. Infine dopo una rapinosa sequenza pentatonica discendente, ha lentamente condotto il suo pubblico verso l’esaltante culmine finale, indicato anch’esso in tempo Un peu cédé: un’apoteosi che nasce compositivamente dalla sovrapposizione della seconda con la terza idea tematica ed è stata interpretativamente raggiunta con consapevolezza estetica e forza espressiva, secondo un perfetto calcolo degli effetti privo di autentica vibrazione emotiva.

Grazie al capolavoro del 1853 dedicato a Robert Schumann, la celeberrima Sonata in si minore di Liszt che venne eseguita in pubblico per la prima volta a Berlino da Hans von Bülow quattro anni dopo la sua composizione, il concerto ha quindi subito un giro di vite. Influenzata dalla trascrizione per pianoforte e orchestra della Wanderer-Phantasie di Schubert che Liszt affrontò nel 1851 e dalla libertà d’impostazione, dall’ampiezza e dalla magniloquenza della scrittura orchestrale dei Poemi Sinfonici, la Sonata in si minoreè ancor oggi un terreno di sfida interpretativa che fa tremare i polsi. Beatrice Rana, che conosce questo capolavoro dai tempi del suo Diploma accademico al Conservatorio, non è arretrata di un millimetro di fronte a questa sfida.

Parafrasando Brendel, tre sono gli elementi principali esposti da Liszt già nella prima facciata: la sequenza delle due scale discendenti, frigia e tzigana, Lento assai, dove non ci sono né parola né canto, il tema in ottave dell’Allegro energico, in cui, in un misto di rivolta, di disperazione e di disprezzo fa capolino il personaggio di Faust, un terzo elemento tematico dal carattere beffardo, sprezzante, mefistofelico, caratterizzato dalla nota ribattuta mi al basso. Realizzato il primo elemento, legato alle due scale discendenti dell’inizio, lasciando andare verso la fine la tonica, sol, e quindi smarrendo per strada l’effetto di contrapposizione che di volta in volta si crea tra questo suono fisso tenuto e i suoni mobili della scala discendente, fin da subito la Rana è apparsa in completa sintonia con il carattere demoniaco del terzo elemento. Da cui un suono più acre, provocatorio, protervo ed una pedalizzazione più asciutta e varia rispetto alla prima parte del recital: nella transizione all’Andante Sostenuto ad esempio, cuore emotivo della Sonata, o alla riapparizione nella coda finale dell’Allegro moderato prima del Lento assai conclusivo, tutti costruiti sulla nota ribattuta della terza idea tematica. Nell’esecuzione, che si è imposta per una visione d’insieme vulcanica, imponente e nondimeno per l’autorevole, funambolico virtuosismo, sono anche serpeggiate, qua e là, inquietudini e dolcezze: tra quei ruderi e detriti di idee tematiche che accompagnano il passaggio dal tema Grandioso in re maggiore al cantando espressivo, sempre in re maggiore, metamorfosi femminile dell’elemento mefistofelico, o nel passaggio successivo a questo, dove appare l’ennesima trasfigurazione del tema faustiano, incastonato in una corona di dolcissime terzine, in sempre pianissimo poco marcato. Stupefacenti il fugato, Allegro energico, staccato ad un tempo vertiginoso, e in genere tutti passi di ottave, affrontati con sprezzo del pericolo, particolarmente incandescenti nella stretta finale, dopo la riesposizione del secondo tema in si maggiore, all’arrivo della Stretta quasi Presto, poi Presto, quindi Prestissimo. La trasfigurazione è arrivata, esattamente come voleva Liszt, nel passaggio dall’armonia di fa maggiore al si maggiore conclusivo del Lento assai, preparata da un crescendo in pianissimo che sfoga nella luce soffusa, transumanata delle note finali. Un lungo silenzio è seguito all’ultima nota si, al basso: segno di un pubblico emotivamente ipnotizzato, che si è potuto piacevolmente rilassare solo nei due bis, lo Studio op. 2 n. 1 di Skrjabin e lo Studio “pour les huit doigts” di Debussy.

Silvia Limongelli

Foto: Giulia Fiume, cortesia de La Società del Quartetto di Milano

Data di pubblicazione: 31 Ottobre 2023

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