Città di Castello celebra la “hispanidad”

CITTÀ DI CASTELLO (PG)

55° Festival delle Nazioni

6 luglio-3 settembre 2022

varie sedi

L’edizione 2022 dell’ecumenica manifestazione retta da Aldo Sisillo s’intitolava “Omaggio alla Spagna”, il nostro vicino iberico di volta in volta colonizzato e colonizzatore (sì, anche di vaste plaghe italiche) lungo una storia di 12 secoli. Da cui l’affresco per alcuni versi sorprendente di una hispanidad dilatata e meticciata a livello globale: occasione ghiotta per meditare su quel dente della storia che l’aforisma di Marc Bloch definisce “più velenoso di quanto si pensi”.

Quattordici eventi principali e numerosi altri collaterali ospitati in luoghi d’arte a Città di Castello e varie località dell’Alta Val Tiberina (Sansepolcro, San Giustino, Umbertide, Monte Santa Maria Tiberina, Montone vi sembran forse molti? Eppure non sono bastati a prendere in organica considerazione filoni come quel Classicismo spagnolo di alta caratura che nei nomi di Domenico Scarlatti, Francesco Corselli, Gaetano Brunetti, Antonio Soler, Luigi Boccherini, Joseph Haydn e via elencando poteva offrire ulteriore campo di riflessioni intorno ad una unificazione culturale europea già in progress negli ultimi decenni dell’Antico Regime.

E invece, scontata la prevalenza nel cartellone di un Novecento nazionale diviso tra folklore stilizzato e avanguardia parigina (sono beninteso presenze nobilissime epitomizzate nei nomi di Turina, Mompou, Albéniz, Falla, Tárrega), si è preferito porre l’accento su flussi e riflussi meno cartografati dagli storici della musica. O magari documentati solo allo stato di frammento, come nel caso della Sinfonia in re maggiore del misterioso Antonio Sarrier (1725-1762): dapprima timpanista e trombettista alla corte di Madrid, poi emigrato in Messico, dove nell’archivio del conservatorio di Morelia si è rinvenuta negli anni ’30 dello scorso secolo la partitura manoscritta del suo unico lavoro conosciuto fino ad oggi. Una briosa “Sinfonia para pequeña orquesta” in pretto stile galante quale poteva risuonare nelle Tafelmusiken di Eisenstadt al tempo del giovane Haydn: il direttore messicano Juan Carlos Lomonaco ce la riporta ora in Europa alla testa dell’Orchestra Regionale Toscana come pezzo d’apertura in un programma dove figurano ben noti evergreens ballettistici di Manuel de Falla e Rodolfo Halffter. Fra gli omaggi all’anima profonda della Spagna moderna non poteva poi mancare la chitarra solista; anzi un duo di giovani e valenti solisti nato al Conservatorio di Vicenza. Victor Valisena e Raffaele Putzolu incantavano a perfetta vicenda un pubblico assiepato nell’intimo spazio di una saletta al pianoterra del Castello Bourbon Del Monte. Coi soliti nomi di Rodrigo, Granados, Albéniz, Falla; più un paio di fuori programma per nulla marginali: Castelnuovo-Tedesco e Piazzolla.

Ancor più decisamente fuori dal mainstream iberico due eventi che crediamo destinati ad imprimersi nella memoria degli spettatori, all’insegna di un meticciato musicale oggi tanto invocato (spesso a sproposito) dagli ideologi del mondialismo livellatore. “Al presente non vi è più quasi alcun divario, nel canto come nel suono, tra le Messe e i Vespri di casa nostra e quelli delle suddette regioni”, annotava soddisfatto nel 1749 nientemeno che papa Benedetto XIV. L’inculturazione del cattolicesimo in America Latina ad opera degli ordini religiosi gesuita e francescano trovò nella musica una potente leva; almeno finché l’avidità dei colonizzatori laici, secondata dall’assolutismo sedicente illuminato dei sovrani europei, non pose fine allo straordinario esperimento sociale delle reducciones. Il gesuita italiano Domenico Zipoli e collaboratori (vuoi il confratello svizzero Martin Schmid, vuoi gli anonimi Indios chiquitanos loro discepoli) dominavano la scena del concerto dedicato dall’Ensemble Elyma di Gabriel Garrido alla musica gesuitica nelle missioni del Paraguay e dintorni. Luogo deputato: la bella chiesa di San Domenico decorata di affreschi del Tre-Quattrocento. Come e più dell’oratorio San Ignacio — da tempo abbondantemente circuitato dal vivo e su disco ma qui ripresentato in un allestimento light con organico ridotto all’osso e vocalisti esordienti ad affiancare l’esperto Furio Zanasi nell’impegnativo ruolo di Lucifero destava ammirazione una Messa per 3 soli, coro e orchestra databile intorno al 1720; anch’essa firmata da Zipoli e consacrata al santo di Loyola. L’agile scrittura concertante si mostrava ricca di contrasti fra brevi sezioni; aggraziata l’invenzione melodica con poche concessioni al virtuosismo solistico e al contrappunto severo. Talora (ad esempio nel Kyrie) con vivaci spunti ritmici che sembravano invitare alla danza. Ne traeva vantaggio la chiara declamazione dei testi voluta dalle prescrizioni tridentine, e con essa il diletto di un gregge oggi avvezzo a pascoli liturgici alquanto magri.

Al rovescio della medaglia, il meticciato arabo-andaluso di cui tante tracce perdurano ancor oggi sulle sponde del Mediterraneo, provvedeva la Tangeri Café Orchestra sotto la guida di Jamal Ouassini, noto alle cronache come “il violinista marocchino del Papa”. Nel concerto udito a Città di Castello fra i velluti e gli stucchi del Teatro degli Illuminati, María Álvarez con il canto flamenco e Omar Benlamlih con quello sefardita in giudeo-spagnolo (judezmo) si univano in dialogo con gli strumenti, raccontandoci storie di palazzi e di città multietniche attraverso brani sia tradizionali e arrangiati, sia di recente composizione; in particolare quelli firmati dallo stesso Ouassini e dal chitarrista Carlos Zarate. Sul tema conduttore della serata, intitolato Rhizlane in omaggio al nome della gentile signora Ouassini presente in sala, zampillavano mirabolanti intarsi politestuali e poliritmici fra cante jondo e lirica amorosa siriana, melodie popolari della montagna libanese, assoli virtuostici di ūd e di qānūn, campioni di saz sema’isi dalla classica musica ottomana. Quest’ultima non “popolare” — per carità — bensì di corte sultaniale o di confraternita mistica; non senza influssi bizantini, persiani, ebraici, armeni, zingareschi. Il tutto in chiave attualizzata, lasciando ai singoli artisti ampia libertà d’improvvisare e destando facinorosi entusiasmi in un pubblico giovanile che non di solo rap vuol pascere l’orecchio. Auguri a loro.

Carlo Vitali

Data di pubblicazione: 21 Ottobre 2022

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