Cimarosa torna a casa: il Matrimonio segreto alla Fenice

CIMAROSA Il matrimonio segreto L. Drei, J.F. Gatell, M. Belli, P. Di Bianco, F. Benitez, O. Montanari; Orchestra del Teatro La Fenice, direttore Alvise Casellati regia Luca De Fusco scene e costumi Marta Crisolini Malatesta light designer Gigi Saccomandi

Venezia, Teatro La Fenice, 12 febbraio 2023

Dimenticato per anni, il capolavoro di Domenico Cimarosa è tornato in questi mesi in molti teatri italiani: dopo la Scala, Palermo, Ancona, ora Parma e Venezia lo portano in scena pressoché negli stessi giorni. Un’attenzione che non può che fare bene a questo titolo, che al tempo della sua prima rappresentazione, il 7 febbraio 1792 al Burgtheater di Vienna, riscosse un successo straordinario. Non ha fondamento l’aneddoto quello che narra che la stessa sera della prima, per volere dell’imperatore Leopoldo II in persona, l’opera fu interamente rimessa in scena. Tuttavia il clamore per il lavoro di Cimarosa fu strepitoso e ancor oggi Il matrimonio segreto è una delle opere buffe più popolari di tutti i tempi. Famose sono le parole che scrisse Stendhal: “Queste melodie sono le più belle che sia stato dato di concepire all’animo umano. Mi sembra che nessuna delle donne che ho avuto mi abbia donato un momento così dolce quanto quelle. Finalmente questa sera, accasciato dal dolore, mi sono rifugiato nel matrimonio segreto. Ma ormai lo conosco a memoria”.

Non è difficile capire i motivi per cui l’opera ebbe tanto successo: Il matrimonio segreto è una delle opere più effervescenti e gioiose mai composte. Una partitura sapiente, una musica avvincente e melodie accattivanti, e un libretto che, pur facendo ricorso a cliché tradizionali, è scritto in maniera nient’affatto banale. Insomma, la musica di Cimarosa rappresentava perfettamente l’ideale musicale artistico settecentesco di una ricerca espressiva che avesse a cuore decoro, civiltà ed equilibrio delle forme.

Giovanni Bertati trasse il libretto dalla commedia The clandestine Marriage (1766) di George Colman e David Garrick, a sua volta ispirata ai quadri di Hogarth, che avrebbero poi influenzato i librettisti del Rake’s Progress di Stravinskij. Bertati attenua gli aspetti di satira sociale presenti nella commedia, limitandosi a prendere in giro il borghese che ha smanie di nobiltà. Una lettura rassicurante per il supercilioso pubblico viennese, al contrario di Da Ponte, che per Mozart aveva riletto Beaumarchais con spirito prerivoluzionario, sfidando i codici sociali del tempo. La trama dell’opera è semplice: protagonista è il ricco mercante bolognese Geronimo, un arrampicatore sociale la cui famiglia comprende le figlie Elisetta e Carolina, la sorella Fidalma e il segretario Paolino, marito segreto di Carolina. Prima che il vero amore trionfi, avvengono molte incomprensioni e colpi di scena. 

Al Teatro La Fenice Venezia, città nella quale Cimarosa visse in esilio i suoi ultimi anni alloggiando a Palazzo Duodo, a poca distanza dal Teatro La Fenice, Il matrimonio segreto mancava da una ventina d’anni e per il suo ritorno si è deciso un nuovo allestimento, affidandolo alla regia di Luca De Fusco e per le scene e i costumi a Marta Crisolini Malatesta. I quali, con estrema economia di mezzi, si sono limitati a creare un fondale fisso, una specie di quadreria o di galleria degli specchi: alcuni, quelli più in basso, con la doppia funzione di specchi e di porte, quelli più in alto animati di volta in volta da proiezioni. Ora piume e conchiglie svolazzanti, ora figure femminili e maschili in atteggiamenti lascivi ripresi da stampe settecentesche, ora occhi indagatori tratti dal fumetto moderno. Il regista li intende come proiezioni dell’immaginazione dei personaggi, dato che ognuno di loro in scena si figura in una situazione diversa da quella in cui si trova. In realtà l’idea registica, che avrebbe potuto funzionare se ben sviluppata, appare come un gioco fine a sé stesso, avulso da quanto accade sul palcoscenico. Sul quale, peraltro, molto parco è anche l’uso degli elementi scenici: un divanetto e due poltrone, cui si aggiunge in apertura una tenda bianca svolazzante che nasconde i due sposi, Carolina e Paolino. Poco pepe, nessuna volontà di andare a fondo, magari facendo venire alla luce la sensualità repressa, l’esplodere dei sensi che è tema strisciante nel testo di Bertati e che avrebbe potuto offrire nuove chiavi di lettura. Così ci è parsa una messinscena povera di idee (e di risorse) in grado di dire poco del melodramma cimarosiano e settecentesco in genere. Unico momento suggestivo il notturno, ricreato dalle luci di Gigi Saccomandi e al cielo stellato proiettato sugli specchi. Poco per una città come Venezia, che al regista poteva offrire i mille spunti del teatro goldoniano, di Gozzi o della poesia licenziosa di Giorgio Baffo con i suoi versi dedicati “Ai omeni e alle donne morbinose, / A quelli veramente, che le cose / I varda per el verso che xe bon”.

A questa mediocritas, con l’aggravante di evidenti lacune tecniche, si è adeguato anche il direttore Alvise Casellati: mano pesante in molti punti, ha imbrigliato l’orchestra nella ricerca di sonorità dense del tutto fuori stile e impastando le linee che, invece di essere chiare e luminose, suonavano per lo più grevi. Troppi poi gli sbandamenti tra palcoscenico e orchestra con i cantanti talvolta, specie negli assiemi, non sempre in quadratura perfetta. Peccato perché la compagnia di canto era davvero ideale per prestazioni vocali e per spigliatezza scenica. Il basso Pietro Di Bianco è bravissimo nel ruolo di Geronimo, un Don Magnifico ante litteram, preoccupato più delle proprie tasche che della felicità delle figlie. Insuperabile Omar Montanari quale Conte Robinson, spassosissimo e irresistibile nella caratterizzazione del suo personaggio, attorno al quale ruota la vicenda dei possibili matrimoni combinati. Il tenore argentino Juan Francisco Gatell, di casa alla Fenice dove ha già cantato in diverse produzioni, affronta senza problemi la tessitura acuta e in qualche punto davvero scomoda, di Paolino, caratterizzando al meglio i momenti larmoyant della sua parte. Spassosissima la Fidalma di Martina Belli, voce sonora e calda, capace di comunicare i tratti di sensualità repressa che la distinguono. Le due sorelle, infine, erano interpretate da Lucrezia Drei, un’incantevole Carolina, tenera innamorata ma anche donna risoluta e combattiva, e da Francesca Benitez nelle vesti di Elisetta, che si fa apprezzare nella sua aria del secondo atto, “Se son vendicata”, sfoggiando buona tecnica vocale e considerevole temperamento.

Stefano Pagliantini

Foto: Michele Crosera

Data di pubblicazione: 13 Febbraio 2023

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