I fiati di Santa Cecilia con De Maria al Ponchielli

HAYDN Sonata n. 34 in MI minore per pianoforte, op. 42, Hob:XVI:34 MOZART Quintetto per pianoforte e fiati in MI bemolle maggiore, K 452 BEETHOVEN Sonata quasi una Fantasia per pianoforte n. 14 in DO diesis minore, op. 27, n. 2 “Al chiaro di luna” – Quintetto per pianoforte e fiati in MI bemolle maggiore, op. 16 pianoforte Pietro De Maria oboe Francesco Di Rosa clarinetto Alessandro Carbonare corno Guglielmo Pellarin fagotto Andrea Zucco

Cremona, Teatro Ponchielli, 7 marzo 2025

Con il concerto del 7 marzo siamo giunti al terzo appuntamento di “Crescendo” del Teatro Ponchielli. Un’altra serata cameristica ha irrorato di “Sublime” il teatro cremonese, e non a caso utilizzo questo termine, perché alcuni solisti dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia si sono stretti attorno al pianista Pietro De Maria col fine d’inverare il primato della musica strumentale pura – l’unica in grado di esprimere l’inesprimibile a parole, l’ineffabile, l’Assoluto ­– attraverso la triade “dialettica” del Classicismo viennese: Haydn (tesi), Mozart (antitesi), Beethoven (sintesi). Al di là dell’enfasi hoffmaniana testé richiamata, possiamo dire di avere assistito a un’Accademia musicale in piena regola, laddove il pianoforte di De Maria ha fatto da trait d’union tra i due quintetti di Mozart (Quintetto in mi bemolle maggiore, K 452) e Beethoven (Quintetto in mi bemolle maggiore, op. 16), mostrandosi in veste solistica nella Sonata n. 34 di Haydn e nella Sonata quasi una Fantasia n. 14 di Beethoven. Quest’ultima sì, proprio quella che la vulgata ricorda, con una generosa dose di autocompiaciuto sentimentalismo, come “Al chiaro di luna”,ed è stata proprio questa “abusata” composizione a rivelare maggiormente le straordinarie doti di Pietro De Maria. Un pianismo – il suo – ricercatissimo, dalla timbrica magica, capace di creare piani sonori variegatissimi, giungendo a impalpabili pianissimi seguiti da cantabili sussurrati a fior di labbra. Tecnica solidissima, uso magistrale del pedale di risonanza e jeu perlé in palmare sintonia con il concetto apollineo di Classico. Il Beethoven del maestro veneziano è la prosecuzione del ductus haydniano, chiaramente approdando a esiti differenti, ma di comune matrice idiomatica. La misura, il buon gusto, il bel suono, la cantabilità fanno di De Maria tra gli eredi più rappresentativi della scuola della compianta Maria Tipo (1931-2025). I fiati impiegati nei Quintetti di Mozart e Beethoven – oboe, clarinetto, corno e fagotto ­– donano alla solida struttura formale una policromia sonora inedita, fondendosi con le nuances del pianoforte. Gli ottimi interpreti – Francesco Di Rosa, Alessandro Carbonare, Guglielmo Pellarin e Andrea Zucco – hanno convinto non solo per l’estrema padronanza tecnica del mezzo musicale, ma anche per il nitore equilibrato delle parti. Un vero godimento per l’intelletto e l’udito, oltre che naturalmente per la ricreazione dell’animo, come dimostrato ampiamente dalla calorosa accoglienza di un cospicuo e ordinato pubblico, meritevole di diverse chiamate e di un bis non da poco (Rondò. Allegretto dal Quintetto K 452 di Mozart).

Michele Bosio

Data di pubblicazione: 10 Marzo 2025

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